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Leica IIIf e Ferrania P30: ripresa, sviluppo, stampa e… sorpresa finale!

Con una Leica IIIf del 1955 e un obiettivo Elmar f.3/5, 5cm. del 1953 ho scattato un rullo di Ferrania P30 che ho poi sviluppato in Bellini D96. Poi ho stampato e… sorpresa finale!

Buona visione e buona lettura a tutti!
Gerardo Bonomo

 

 

 

 

Leica IIIf

Cominciamo naturalmente con la fotocamera, in questo caso una Leica IIIf del 1955 armata con Elmar f/3.5 5cm del 1953. Superfluo entrare in dettagli specifici: la letteratura abbonda di sacri testi nei quali, in questi decenni, i prodotti Leica sono stati sviscerati fino all’ultima vite. ne parlerò quindi in modo sommario, rimandando specifici approfondimento ad autori e testi sacri.

Leica IIIf in sintesi

La Leica IIIf con autoscatto è stata prodotta dal 1954 al 1957, con numeri rossi. Questo modello non ha la ghiera sincro con i numeri rossi ma con i numeri neri. L’otturatore ha tempi da 1/1000 di secondo fino a 1 secondo, più la posa B e la posa T.  L’autoscatto ha una sua valenza soprattutto quando non si dispone di scatto a distanza dedicato e si vuole attivare l’otturatore senza premere il pulsante di scatto, per evitare mocromosso. I tempi da 1/25 fino a 1 secondo si attivano attraverso una ghiera frontale che è quella che comanda anche la posa T. Sul retro dispone di due “micro” mirini, uno per l’inquadratura galileiana e l’altro, con correzione diottrica, per la visualizzazione e l’allineamento del telemetro. Bisognerà aspettare il modello IIIg – per alro coevo, per avere un mirino galileiano con oculare leggermente più largo e la M3- presntata nel 1954 insieme alla baionetta M – nel video ho erronemente detto 1955 –  per avere un mirino con oculare decisamente più largo all’interno del quale è visibile, finalmente, anche il telemetro. La IIIf, come la maggior parte delle Leica a vite, presuppone un certo allenamento e un certo adattamento per essere correttamente usate: il doppio mirino con oculari molto piccoli, la necessità oltre che di focheggiare di dover ogni volta impostare il tempo, e in questo caso il diaframma utilizzando l’unghia – sull’Elmar f/3,5 5cn la ghiera dei diaframmi non è esterna ma posizionata intorno alla lente frontale, insomma, una serie di difficoltà che rendono però ogni foto scattata con successo una vera sfida, e di conseguenza la ammantano di un fascino unico.

Leitz Elmar f/3,5 5cm

L’obiettivo utilizzata , l’Elmar 5 cm – straordinaria la specifica della focale in cm anzichè in mm! –  è stato prodotto dal 1924 al 1961, con modifiche incrementali, probabilmente uno degli obiettivi più longevi nella storia della fotografia. Estremamente semplificato nella costruzione – 4 elementi in tre gruppi- collassabile, ovvero può essere fatto rientrare nel corpo macchina per renderla più compatta, relativamente poco ,luminoso – f/3,5- con ghiera dei diaframmi posizionata intorno alla lente frontale e ruotabile utilizzando l’unghia – !!! – è un obiettivo dotato di una nitidezza incredibile è probabilmente l’ottica più famosa in tutta la storia di Leica. Dotato di ghiera di messa a fuoco in cm o in piedi, a seconda del mercato, pur collassabile, una volta messo in posizione è solido come una roccia. Non dispone di attacco filettato per i filtri, i filtri disponibili vengono messi intorno al fronte dell’ottica è stretti con una vite. Il passo M39 a vite è quello che lo renderà protagonista della sorpresa finale.

La pellicola Ferrania P30

Ne ho già ampiamento parlato in questo precedente ARTICOLO a cui vi rimando, nel quale la pellicola è stata sviluppata con il Rollei Supergrain. Da quando ho redatto quell’articolo voci di camera oscura – più che di corridoio – recitano che a breve vedremo la P30 in formato 120, che usciranno altre sensibilità, quindi la 160 e la 320 ISO e si parla addirittura di una pellicola colore. Nell’articolo precedente ho sviluppato con il Rollei Supergrain. Qui invece utilizzerò un differente sviluppo, il Bellini D96. Abbiamo, ve lo anticipo subito, in questo modo, una PROFONDA differenziazione tra le due metodologie di sviluppo: il Supergrain è, diciamo così, uno sviluppo robusto, che porta a negativi P30 dotati di un certo contrasto – già proprietario della pellicola stessa. Il bellini D96, invece, è uno sviluppo più morbido che porta quindi e appunto a negativi più morbidi. A seconda dello scopo che si vuole raggiungere e delle condizioni di scatto, sarà possibile alternare i due sviluppi, in attesa di provarne altri.

 

L’attrezzatura impiegata

Oltre alla già citata Leica e Ferrania P30, complice la giornata nuvolosa e la bassa sensibilità della pellicola ho scattato – come di norma faccio comunque quasi sempre – con la fotocamera innestata su un treppiedi, in questo caso un datato e quasi coevo Gitzo G126 Sport Performance Tatalux, un treppiedi leggero e di poco ingombro da chiuso con testa Gitzo G175, una testa a semisfera molto particolare che permette anche di lavorare con la fotocamera in pianta. A completare l’attrezzatura uno scatto flessibile idoneo per la IIIf che non dispone di attacco filettato ma necessita di smontare il cilindretto avvitato a proteggere il pulsante di scatto per essere sostituito da questo scatto a filo con attacco proprietario – compatibile anche con alcuni modelli vintage di Nikon -. Chiude la carrellata dell’attrezzatura un esposimetro non vintage, ma un più attuale affudabile e immediatamente leggibile Sekonic L-308x.

Il Bellini D96

Il Bellini D96 è uno sviluppo più morbido rispetto al Rollei Supergrain. Si utilizza in stock, ovvero non diluito, e in questo caso, dopo un prebagno di 5 minuti in acqua a 24 gradi ho sviluppato per 8 minuti, il primo minuto agitazione continua, i restanti 7 minuti con un rovesciamento ogni 15 secondi; arresto, fissaggio, lavaggio e bagno finale in acqua depurata + WAC come già illustrato nel mio precedente articolo

La sorpresa finale

Giriamoci un momento intorno alla sorpresa finale, che per altro io avevo già sperimentato alcune decine di anni orsono. Cominciamo dal fatto che Leica aveva a catalogo un particolare accrocchio, qui sopra rappresentato, che permetteva di “duplicare ” la ghiera dei diaframmi dalla lente frontale alla parte esterna dell’obiettivo. Il motivo? ma ovviamente per collegare l’Elmar all’ingranditore e usare l’ottica da presa come ottica da stampa. L’idea di usare l’obiettivo con cui si è impressionata la pellicola per stampare l’ho sempre trovata affascinante: l’immagine in ripresa attraversa la lente frontale, in stampa la lente posteriore, e con dei risultati, lo vedremo tra poco, assolutamente eccellenti. Ed è quello che ho fatto.

L’Elmar pronto per la stampa

Grazie al fatto che il passo a vite dell’Elmar è M39, esattamente come le piastre portaotttiche degli ingranditori, non è stato certo un problema montare l’Elmar. Alla fine però, per la focheggiatura e l’ingrandimento, ho dovuto far rientrare la parte collassabile dell’ottica nell’ingranditore; inquadrare e focheggiare a tutta apertura per poi chiudere il diaframma dell’Elmar a f/5,6 per procedere alla stampa, a sua volta non è stato semplicissimo, e devo ammettere che ho rimpianto l’accrocchio originale Leitz che permetteva di avere la ghiera dei diaframmi esterna. Ma ce l’ho fatta ugualmente.

Il risultato finale

Con una posa di 20 secondi, a gradazione 3,25 la stampa in formato 24x30cm è venuta assolutamente perfetta. Anche ingrandendo la stampa attraverso un loupe la nitidezza del positivo era sovrapponibile a quella del negativo.

Da vicino

Ecco qualche dettaglio più specifico: il negativo, la stampa finale e due ingrandimenti del negativo, Nell’ultima immagine in basso a destra, come di consueto il negativo fotografato  con un ingrandimento 2:1: le segnature blu sono decimi di millimetro, la segnatura rossa corrisponde a un millimetro della superficie del negativo. La quantità di dettagli, fermo restando che ho lavorato con un Elmar, pur eccellente ma non certo tra i migliori obiettivi Leitz è davvero impressionante.

Un altro dettaglio

A differenza della maggior parte degli  scatti qui effettuati con la Leica IIIf, per la maggior parte con l’Elmar diaframmato a f/8, qui ho lavorato a f/3,5, quindi a tutta aperturura e alla minima distanza di fuoco, basandomi esclusivamente sulla bontà del telemetro da un lato e sperando in un buon dettaglio nonostante lavorassi a T.A. . I risultati parlano da soli…

Conclusioni

Ritengo che questa “sperimentazione”  abbia avuto un successo superiore alle mie aspettative, per la fotocamera impiegata, con oltre sessant’anni di lavoro sul campo sulle spalle, per l’ottica da ripresa da un lato e per il fatto che è stata usata anche per ingrandire l’immagine, per la Ferrania P30 che si è comportata egregiamente nonostante lo sviluppo decisamente morbido in cui è stata sottoposta in D96. la morale? Usando con consapevolezza strumenti del passato, in analogico si possono ottenere risultati perfettamente in linea con il presente, arrivando qu a lanciare un guanto per un duello che sembrava impossibile, ma che alla fine ci ha messo dalla parte dei vincitori. 

Come diceva Stephen Boyd nella parte del crudele Messala a Charlton Heston nella parte di BEN-HUR nell’omonimo film del 1959 diretto da William Wyler: “Trionfo completo, BEN-HUR. La corsa è vinta”.

Buona luce a tutti !

Gerardo Bonomo

 

 

Gerardo Bonomo

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