SILVESTRI 6X9. RITORNO ALLE ORIGINI
Silvestri T30 è una fotocamera Made in Italy in grado di scattare su differenti formati di pellicola, fino al 4×5″. Interamente realizzata in alluminio, solida e leggera, accetta una moltitudine di obiettivi, non ultimi, naturalmente, quelli per il banco ottico. L’abbiamo utilizzata per scattare alcuni rulli di pellicola Rollei RPX25 ( 280 linee/mm) utilizzando un dorso Horseman 6×9. Risultato? Il banco ottico non è mai stato così leggero e così vicino.
Buona lettura e buona visione a quasi tutti
Gerardo Bonomo
IL ROLLFILM 120: LA FOTOGRAFIA DIVENTA POPOLARE
Forse non tutti sanno che l’invenzione del rollfilm rese la fotografia popolare e permise la realizzazione di fotocamera davvero portatili.
Dopo decenni di lastre in vetro e fotocamere campagnole pesanti e ingombranti il rollfilm permette l’invenzione di fotocamere davvero portatili e utilizzabili a mano libera, da un lato, dall’altro un semplice avanzamneto al fotogramma successivo e, ultimo ma non ultimo, la possibilità per l’utente di cambiare il rullo terminato e sostituirlo con un un nuovo.
Anche se con l’avvento della Leica e l’invenzione del fotogramma 24x36mm nacque il ben più diffuso formato 135, bisogna anche tenere presente che Kodak aspettò il 1934 per realizzare la pellicola 135, nonostante la prima Leica fosse stata presentata alla Fiera di Primavera di Lipsia nel 1925. Fino a quel giorno i leicisti dovevano caricare la pellicola cinematografica 35mm in appostiti caricatori usa e NON getta realizzati da Leitz. La leggenda vuole che le 36 pose, ovvero la lunghezza della pellicola di circa 164/167 cm sia dipesa dall’apertura delle braccia di Oskar Barnack, il padre di Leica, che al buio, tirando uno spezzo di pellicola cinematografica, arrivava appunto a circa 1,5 metri, per poi caricarla nelle apposite cassette di ottone di Leitz.
120: una storia oscura
120 è un formato di pellicola per la fotografia fissa introdotto da Kodak per la Brownie No. 2 nel 1901. Originariamente era destinato alla fotografia amatoriale, ma è stato successivamente sostituito in questo ruolo dalla pellicola 135. 120 film e il suo parente stretto, 220 film, sopravvivono ancora oggi come gli unici film di medio formato A dicembre 2018 tutta la produzione di 220 film è stata interrotta. Le uniche scorte rimanenti provengono dall’ultimo ciclo di produzione Fujifilm (2018) e si trovano principalmente in Giappone.
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Nosferatu
It looks like part of a keep, and is close to an old chapel or
church. I could not enter it, as I had not the key of the door leading to it from
the house, but I have taken with my kodak views of it from various points. The
house has been added to, but in a very straggling way, and I can only guess at
the amount of ground it covers, which must be very great. There are but few
houses close at hand, one being a very large house only recently added to and
formed into a private lunatic asylum. It is not, however, visible from the
grounds.”
La casa, molto vasta, risale a periodi assai antichi, direi addirittura al
medioevo perché una parte di essa è di pietra di enorme spessore, con solo
poche finestre alte e munite di pesanti inferriate, che sembrerebbe il residuo
di
un mastio; ha accanto una vecchia cappella o chiesetta. Non ho potuto
entrarvi,
non avendo la chiave della porta per cui vi si accede direttamente dalla casa,
ma
ne ho ripreso fotografie da vari punti. La casa è frutto di una serie di
disordinate
addizioni, ma non mi resta che indovinare l’entità della superficie coperta,
che
deve essere grandissima. Accanto, solo poche case, una delle quali, assai
vasta,
riattata di recente e trasformata in manicomio, che tuttavia non è visibile
dall’interno della proprietà.”
Eh già, Eh già! ( Cit.La calda notte dell’ispettore Tibbs ) 1897: The first folding pocket Kodak camera was introduced,[53] and was mentioned in the novel Dracula, published the same year.
PUBBLICITA’ CORAGGIOSA O DISCUTIBILE?
Con la presentazione della Brownie Kodak inventa una sorta di mostricciatolo che è il soggetto preferito dalle bambine fotografe di allora.
Nn contentanta dal 1987 al 1997 comprare Ciribiribì, interpretato da Davide Marotta, un attore napoletano che di reente, nell’ultimo Pimocchio di Matteo Garrone interpreta interpreta un triplo ruolo: il Grillo Parlante, la marionetta Pantalone[1] e uno dei conigli . Nonstante sia affetto dalla sindrome di soques-charcot (malattia che induce all’invecchiamento precoce) è da ecenni che calca le scene, dal cinema al teatro fino alla pubblicità. Con tutti il rispetto per il vgrandissimo interpete napoletana, che nel film Passion di Mel Gibson interpreta il figlio di Satana, mi chiedo chi abbia diretto gli uffici marketing di Kodak, ai tempi dìdi Hop Frog prima, di Ciribiribì poi.
Un intrigo alla Tenente Colombo….
Facciamo un poco di chiarezza, la pellicola 135 ( che come il 120 non ha alcun significato geometrico ) o 35mm, che qui ha un signfiicato geometrico in quanto ne conferma con precisione l’altezza, è nata come pellicola cinematografica, convertita a pellicola fotografica da Oskar Barnack di Leitz che, semplicemente e con IMMENSA genialità immaginò che scorresse da sinistra verso destra anzichè dall’alto verso il basso.
Il 2 maggio 1887 il reverendo Hannibal Goodwin, 65enne sacerdote episcopale di Newark, nel New Jersey, deposita un brevetto per la produzione pellicola fotografica di celluloide utilizzabile nelle “telecamere a rulli”. E’ il risultato dei suoi esperimenti condotti per trovare un supporto su cui far scorrere le immagini che utilizzava nei suoi insegnamenti biblici. Il brevetto verrà concesso, però, solo il 13 settembre 1898 quando il nome del 44enne George Eastman brillava ormai forte nel panorama della produzione delle pellicole di celluloide (che utilizzava lo stesso processo ideato dal reverendo), come anche in quello dei primi apparecchi fotografici per il grande pubblico (che, battezzati Kodak, Eastman aveva messo in commercio fin dal 1888 con lo slogan “Voi premete il bottone, noi facciamo il resto”). Sarà quindi il nome dell’intraprendente imprenditore di Waterville e non quello dell’anziano reverendo di Newark a figurare tra quelli dei pionieri della storia del cinema. E’ infatti dibattuta la questione se il Kinetoscopio del 1889 – la macchina di Thomas Edison (ma messa a punto dal suo aiutante William Dickson) che faceva scorrere le prime immagini in movimento -, abbia utilizzato una pellicola di Goodwin o di Eastman. Fatto sta che, quando vi fu la prima dimostrazione pubblica del kinetoscopio, il 14 aprile 1894, Goodwin aspettava ancora il suo brevetto ed Eastman (che aveva già da 2 anni fondato la società Eastman Kodak), aveva fabbricato, con la collaborazione di H. M. Reichenbach, la pellicola trasparente di nitrocellulosa della larghezza di 35 mm, il mattone fondante dell’industria cinematografica (il 28 dicembre 1895 a Parigi vi fu la prima proiezione cinematografica dei fratelli Lumière). Ricevuto finalmente il brevetto della pellicola di celluloide, il reverendo Goodwin cercò di mettersi alla pari con Eastman fondando, nel 1900, la Film Goodwin and Camera Company ma, poco prima che quella che doveva essere una diretta concorrente per la Eastman Kodak iniziasse la sua attività, l’ormai 78ebbe Goodwin morì per le ferite riportate in un incidente stradale. Il suo brevetto venne venduto alla Ansco che, nel 1914, vinse una causa con la Eastman Kodak ottenendo l’astronomico risarcimento per l’epoca di 5 milioni dollari. Eastman comprese che il futuro era nel roolfim, tutt’ora prodotto e che bissato dal formato 35mm solo nel 1933,; il rollfilm, per altro, è tutt’ora in produzione e grazie a un complesso sistema di numeri distanziai tra loro, è in grado di essere utilizzato anche su fotocamere medio formato prive di qualsivoglia trascinamento pur meccanico automatizzato; è possibile quindi usarla con fotocamere di oltre un secolo fa che lavorano in 6×9, 6×7, 6×6 e 6×4,5.
Il 14 marzo 1932 Eastman si ucciderà sparandosi un colpo di pistola al cuore e lasciando questo biglietto: “Ai miei amici: il mio lavoro è compiuto. Perché attendere?”
L’ingranditore questo sconosciuto
Per motivi economici, ma non solo, anche per la praticità nella spedizione delle fotografie nella conservazione nei portfogli, il 99% dei fotogrammi 6×9 cm e non solo vengono stampati a contatto. Non c’è da stupirsi, visto che ancora oggi le fototessere vengono richieste in formato 20×20 mm ( circa ) E comunque un negativo 6×9 ha un’area talmente vasta che stampato a contatto trova degna sede anche in un album di famiglia. Domandiamoci perchè le Polaroid hanno sempre avuto un formato tascabile, pensate che Land, se l’avesse voluto, non avrebbe potuto inventare fotocamere e medium più generosi?
E continuiamo a parlare del formato 120.
Il formato pellicola 120 è una pellicola in rotolo che è nominalmente compresa tra 60,7 mm e 61,7 mm di larghezza. La maggior parte delle pellicole attualmente prodotte sono larghe circa 61 mm (2,4 pollici). La pellicola agli inizi era avvolta in una bobinain legno con flange metalliche, successivamente interamente in metallo e infine interamente in plastica. La lunghezza della pellicola è nominalmente compresa tra 820 millimetri (32 pollici) e 850 millimetri (33 pollici), secondo lo standard ISO 732: 2000. Tuttavia, alcuni film possono essere corti fino a 760 millimetri (30 pollici).Il film è attaccato a un pezzo di carta protettiva più lungo e leggermente più largo del film. La carta di supporto protegge il film mentre è avvolto sulla bobina, con una lunghezza extra sufficiente per consentire il caricamento e lo scaricamento del rotolo alla luce del giorno senza esporre il film. I contrassegni del numero di fotogramma per tre formati immagine standard (6 × 4,5, 6 × 6 e 6 × 9; vedere di seguito) sono stampati sulla carta di supporto.
Il formato 220 è stato introdotto nel 1965 ed ha la stessa larghezza della pellicola 120, ma con circa il doppio della lunghezza della pellicola e quindi il doppio del numero di esposizioni possibili per rullo. A differenza del film 120, tuttavia, non c’è carta di supporto dietro il film stesso, solo un leader e un trailer. Ciò si traduce in una pellicola più lunga sulla stessa bobina, ma non ci sono numeri di fotogramma stampati. Inoltre, non può essere utilizzato in vecchie fotocamere non modificate che hanno una finestra rossa come indicatore di cornice. Inoltre, poiché la pellicola da sola è più sottile di una pellicola con una carta di supporto, può essere necessaria una piastra di pressione speciale per ottenere una messa a fuoco ottimale se la pellicola è registrata contro il suo lato posteriore. Alcune fotocamere in grado di utilizzare pellicole sia 120 che 220 avranno una regolazione a due posizioni della piastra di pressione (ad esempio Pentax 6×7, Mamiya C220 o Mamiya C330) mentre altre richiederanno dorsi di pellicola diversi, ad es. la Pentax 645 o Kowa Six.
Le specifiche per la pellicola 120 e 220 sono definite nello standard ISO 732. Le precedenti edizioni di ISO 732 fornivano anche standard internazionali per i formati di pellicola 127 e 620.
IL MEDIO FORMATO NON E’ PAENTE DEL PICCOLO FORMATO ( neppure da parte di madre… )
Quando nel 1925 alla Fiera di primavera di Lipsia Leitz presentò la prima Leica il mondo rimase sbigottito dalle dimensioni del fotogramma. La Casa Madre assicurava comunque degli ottimi ingrandimenti fino al formato 10x15cm. Addirittura, la macchina era venduta in bundle con un ingranditore a ingrandimento fisso: era sufficiente posizionare un foglio di carta sensibile sotto e il negativo sopra, perchè questa sorta di piramide tronca esponesse, nitido, il negativo sul foglio di carta 10×15 cm.
Ci vollero lustri prima che il mondo accettasse il formato 24×36 come un formato in grado di essere ingrandito anche in dimensioni ragguardevoli. Assomigliò a quella sorta di calvario che subì per anni Olympus quando presentò il sensore e le fotocamere micro quattro terzi. Nessuno, neppure gli addetti ai lavori credevano nelle possibilità di un sensore così piccolo, e ancora oggi, anche se Olympus si è ritirata dalla produzione di fotocamere digitali, molti non credono che l’area di quel sensore, e i risultati, siano paragonabili anche solo a un sensore APS, per non parlare dei sensori FULL FRAME. Questione di grandezze ASSOLUTE, l stesse che fecero credere a chiunque che il TITANIC fosse inaffondabile….
Detto questo, cominciamo a osservare, senza calcolatrice alla mano, le differenze tra i vari formati di fotogrammi pellicola attualmente disponibili sul mercato.
Ingranditore a ingrandimento fisso Leica FILAR, 1925
- Production era – ca.1925-1926
- Type – Earliest Leitz wood box enlargers for enlarging up to 9 X 14 cm {WestLicht auctions 17/239 & 21/235} . . . black painted wood, 64mm fix-focus lens, for daylight, for enlargements to postal card size – see ‘Lager Vol.III’ p.227
- FLEIN & FILAR (shown) without lamp housing
- FLEIN & FLEOS for 6 x 9 cm enlargements
- FILAR & FILIX for Post Camera 9 x 14 cm enlargements
- FLEOS with 75 w Philips Argenta lightbulb
- FILIX with 100 w Osram Nitra lightbulb
Negli anni dicembre del 1925 l’allora importatore di Leica per l’Italia, Ing. Ippolito Cattaneo Genova, proponeva nel listino al pubblico la Leica I con Elmar 5 cm f/3,5 e telemetro verticale a 275 lire. L’ingranditore Filar costava 50 lire…
TANTO, DUE, TRE, CHE DIFFERENZA FA ?
Nel 1977 esce il film ecco noi per esempio, con una straordinaria accoppiata, Renato Pozzetto / Adriano Celentano
Un film all’apparenza comica, di fatto profondamente drammatico con un finale assolutamente tragico.
Ho voluto riprendere dal film quella che è a mio parere una delle più belle battute in assoluto di Renato Pozzetto per arrivare ( finalmente ! ) a spiegare le differenze, e se ci sono, tra il piccolo e il medio formato. Su pellicola, naturalmente
UN FILM
E’ solo confrontando le rispettive aree che ci si rende contro delle differenze abissali tra il piccolo e il grande formato. Il 6x9cm si avvicina leggermente al 10x12cm che a sua volta è STRACCIATO dal 20x25cm. Grande formato significa ingrandimenti risibili, assenza totale di grana e una prepotente ed estesa gamma tonale.
DA UN +260% FINO A UN +1390% UN PO’ DI DIFFERENZA LA FA…
Non sono bruscolini, e visto che qui parliamo di 6×9 cm, la differenza rispetto al formato 24 x 36 è del 490%
E visto che i rapporti tra i lati del 6 x 9 cm sono gli stessi del 24 x 36mm, significa che a parità di formato di stampa, da una fotogramma 6 x 9 cm si ingrandisce il 490% in meno. Come spiegare ? se avete un’automobile lunga 5 metri, il paragone tra i due formati fa sì che voi lasciate al concessionario la vostra macchina lunga 5 metri e uscite con una macchina lunga 25 metri. Resa l’idea?
Spiegamoci meglio.
- Risoluzione (resolution): è la valutazione oggettiva del dettaglio, quindi della capacità della fotocamera di distinguere due punti vicini, espressa in coppie di linee per millimetro oppure punti/pixel per unità di lunghezza (es: 300 punti per pollice). Se le ottiche fossero eccellenti, la risoluzione di una fotocamera coinciderebbe con la risoluzione del sensore o della pellicola. Siccome non tutte le ottiche sono eccellenti abbiamo spesso una risoluzione finale inferiore a quella del sensore. Tuttavia questo non è sempre un grosso problema. Possiamo partire a 100 lp/mm e terminare a 10 lp/mm ed avere un’ottima stampa. Per essere proprio precisi dovremmo avere 30 lp/mm su un’immagine a basso contrasto per tener conto dell’acutanza che è un parametro strettamente correlato:
- Acutanza (acutance): è la valutazione oggettiva (quindi una misura) della nitidezza di un’immagine. Non riguarda il risolvere i dettagli ma le transizioni ai bordi, cioè quando c’è un cambio di livello di luminosità ad un bordo.
In pratica
Se per un’immagine con acutanza medio-alta e tanti dettagli fini occorrono 30 lp/mm ( la carta da stampa di norma ha una risoluzione di 40 linne mm, su una stampa 20×30 cm, allora dobbiamo ingrandire la pellicola di circa 8 volte (24×8=192, 36×8=288). Questo vuol dire che l’originale deve avere 240 lp/mm (30 x 8). Non esiste una coppia pellicola/fotocamera/obiettivo in grado di raggiungere questo parametro
Se prendiamo una macchina medio formato 4,5 x 6 cm di dimensione immagine, allora abbiamo che occorrono circa 5 ingrandimenti per il 20×30 di cui sopra. La situazione è migliore che non con il 24×36 ma comunque complessa. Occorrono lenti di qualità veramente elevata (servono “solo” 150 lp/mm)
E’ chiaro a questo punto il vantaggio di un banco ottico. Hanno buonissime ottiche e si ingrandisce poco o nulla per avere il 20×30. Perciò raggiungere e superare le 30 lp/mm è estremamente semplice.
Ecco perchè le immagini ottenute da macchine medio o grande formato appaiono più nitide di quelle fatte a partire da pellicola 35mm o digitale, anche se le ottiche per il 35 mm possono avere anche il doppio della risoluzione. Molto semplicemente non devono essere ingrandite troppo. E poi c’è la gamma tonale, ovvero la capacità di riprodurre la più ampia scala di grigi. Il primo “nemico” della gamma tonale è proprio la grana, ovvero l’ingrandimento
La Grana
La nostra percezione della nitidezza dipende anche dal dettaglio presente nell’immagine. A volte una grana evidente ma nitida aiuta. Morale, più è grande il negativo, buona la pellicola we relativo sviilppo e buone le focali sia da presa che da ingrandimento, maggiore è la nitidezza e la gamma dinamica ottenuta. Dimenticandoci per un momento le pellicole piane, usando una fotocamera 6 x 9 cm, dovremo, a parità di area di stampa, ingrandire del 5030%.
In meno….
MADE IN … ITALIA
Questo treppiedi Manfrotto, lo 058, Triaut per gli amici, tutt’ora in produzione, con leggerissime differenze rispetto al modello originale – del quale possono ancora essere richiesti i pezzi di ricambio – è siglato con un Made in Italia. Io credo che IL grande Lino Manfrotto, non fece scrivere FABBRICATO IN ITALIA perchè l’etichetta sarebbe risultata troppo lunga.
E’ con lo stesso concetto e con lo stesso orgoglio che vi presento un altra azienda fotografica italiana, tutt’ora operativa, che prende il nome dal suo fondatore: Silvestri
L’ultimo costruttore italiano di fotocamere, tuttora in attività, è l’artigiano fiorentino Vincenzo Silvestri, che nei primi anni Ottanta comincia a costruire fotocamere di medio formato destinate in maniera particolare alla fotografia di architettura. Stimolato a quanto pare dalla “archicamera” costruita per uso personale dall’architetto fiorentino Luciano Nustrini, Silvestri costruisce la fotocamera SLV per i formati 6x7cm o 6x9cm che permette il decentramento della piastra porta ottica e la completa intercambiabilità dell’obiettivo come del dorso. Per la fotocamera SLV vengono realizzati numerosi accessori, dorsi e mirini e vengono resi disponibili numerosi obiettivi tedeschi o giapponesi montati su otturatori a lamelle. La fotocamera SLV viene seguita dal modello Hermes, più sofisticata, che permette di arrivare ai formati 6x12cm e 4×5 pollici. Come la SLV, anche la Hermes offre il decentramento per le riprese di architettura. La terza fotocamera di Silvestri è la panoramica SG612 realizzata per il formato 6x12cm ma compatibile con i formati 6x9cm, 6x7cm e 4×5 pollici. La quarta fotocamera è la S4, che nasce per coprire il formato 4×5 pollici ma può essere usata con i film in rullo tipo 120. Tutte le fotocamere di Silvestri sono equipaggiate sul dorso con un attacco universale tipo Graflock per i magazzini per film in rullo e recentemente anche per l’impiego dei dorsi digitali. Oggi la produzione di Silvestri, insieme a quella della Lupa Fantuz, è la sola produzione di fotocamere italiane presente sui mercati internazionali.
SILVESTRI T30
Ecco la Silvestri T30, che ho utilizzato per le immagini che coroborano questo articolo.
Realizzata completamente in alluminio è priva di alcun tipo di meccanismo di trascinamento pellicola, riarmo otturatore: è un blocco di alluminio scavato a cui è possibile aggiungere dorsi, per esempio 6×9, che incorporano il sistema di avanzamento della pellicola, e svariati obiettivi, soprattutto da banco ottico, che a loro volta incorporino, oltre all’otturatore e al diaframma, un sistema elicoidale di messa a fuoco.
Accessori vari
Qui la vediamo con alcuni degli accessori utilizzati per le immagini di questo articolo, a cominciare dal Passport Color Checker, per passare all’esposimetro Sekonic Flash Mate L 308x, il grigio medio tascabile di Sekonic, la pellicola 120 Rollei RPX 25 e lo sviluppo Hydrofen di Bellini, anch’esso Made in Italia.
Accessori vari
Qui la vediamo con alcuni degli accessori utilizzati per le immagini di questo articolo, a cominciare dal Passport Color Checker, per passare all’esposimetro Sekonic Flash Mate L 308x, il grigio medio tascabile di Sekonic, la pellicola 120 Rollei RPX 25 e lo sviluppo Hydrofen di Bellini, anch’esso Made in Italia.
SI GIOCA TUTTO SULLO SCHERMO DI MESSA A FUOCO
Ecco come si presenta l’immagine, invertita sui quattro lati, sullo schermo smerigliato della Silvestri T30 – anche se avevo a disposizione un raddrizzatore di immagine., ma non di lati -. Aiutandosi con un loupe o lentino appoggiato al vetro smerigliato si agisce sulla ghiera di messa a fuoco dell’obiettivo fino a che, continuando micrometricamente ad andare in front/back focus si arriva alla focheggiatura perfetta. Niente microprismi, niente telemetro a immagine spezzata, il tutto, d’estate, soffocati sotto il panno nero d’ordinanza.
Finchè soni paesaggi, passi, ma quando si parla di ritratti, dopo aver focheggiato, bisogna smontare il vetro smerigliato, montare il dorso, togliere la volet, chiudere il diaframma all’effettivo diaframma di lavoro, armare l’otturatore e chiuderlo, il tutto sperando che il soggetto non si sia mosso, ovvero nn si sia avvicinato o allontanato anche impercettibilmente dal punto di fuoco appena eseguito. Una passeggiata… forse.
SILVESTRI T30 Qualche specifica
T30
Fotocamera modulare compatta, robusta e precisa con decentramento verticale di 30 mm. Ideale per la fotografia architettonica e paesaggistica.
Una fotocamera compatta, molto robusta e di alta precisione, dotata di innesto a baionetta Silvestri per il montaggio di obiettivi Rodenstock e Schneider con elicoide di messa a fuoco.
La versatilità, l’agilità e la facilità di messa a fuoco di questa fotocamera rendono il lavoro all’aperto più facile e veloce.
30 mm di spostamento verticale con un sistema micrometrico autobloccante.
Capace di ribaltamento dall’alto in basso, con connessione rapida incorporata.
Formato base 6×7 – 6×9, attacco tipo Graflok, aggancio al sistema ruotante con attacco rapido a 4 punti 8 gradi di rotazione, click stop ogni 90 gradi, disposizione del formato nei 360 gradi senza discontinuita’. Leva di blocco totale della rotazione per sostituire i dorsi. Disponibili dorsi intercambiabili, nei formati 6×12 e 4×5″.
Obiettivi in elicoide di messa a fuoco
La T30 è fornita di baionetta Silvestri per l’innesto degli obiettivi montati in elicoide di messa a fuoco. La versatilita’, la leggerezza, la facilita’ con cui si mette a punto questo apparecchio, facilita e velocizza il lavoro in esterno.
Rimuovendo l’obiettivo ed il dorso, la T30 risulta compatta e di poco ingombro; facile e leggera da riporre e trasportare.
Consultare la Tabella di Configurazione per la corretta combinazione di obiettivo e anelli estensori.
Anelli spaziatori
Gli anelli spaziatori si impiegano per adeguare il tiraggio dei vari obiettivi.
Gli anelli n.1 e n.2 sono disponibili della versione decentrata fissa 10mm e in quella decentrabile 15+15mm, utili per aumentare il decentramento verticale o per combinare il decentramento verticale con quello orizzontale.
Fare riferimento alle Tabelle di configurazione per la scelta delle piastre e anelli necessari
Dorsi per pellicola fotografica, formato base 6×7/6×9
I Dorsi di formato hanno attacco standard tipo Graflock e vetro smerigliato, accettano magazzini portarullo Horseman, WIsta e Mamiya RB. I magazzini 6×12 sono venduti completi del vetro smerigliato e del soffietto in pelle con lente d’ingrandimento.
4090 6×7/9 Dorso con vetro smerigliato
4092 6×7/9 Dorso con vetro smerigliato per Apo Grandagon 4,5/45
4047 6×12 Dorso per 47XL
4020 6×12 Dorso per 58 & 65mm con vetro smerigliato e soffietto con lente d’ingrandimento
4030 6×12 Dorso 75mm con vetro smerigliato e soffietto con lente d’ingrandimento
4040 Dorso 4×5″ con Fresnel per 75mm
4045 Dorso 4×5″ con Fresnel per 65mm
4046 Dorso 4×5″ con Fresnel per 47XL
Magazzini portarullo
code 6020 Horseman Rollfilm holder 6×7/120
code 6040 Horseman Rollfilm holder 6×9/120
code 6070 Horseman Rollfilm holder 6×12/120 (modified)
Caratteristiche del prodotto
Dimensione:
13x17x7 cm con dorso standard
Peso:
kg.1 with standard back
Attacco obiettivi:
Silvestri bayonet.
Attacco dorsi:
Silvestri standard four points attachment
Decentramento verticale:
30mm in alto, 30mm in basso capovolgendo il corpo macchina.
Formati: 6×7/6×9 – 6×12 cm – 4×5″
Magazzini portafilm: Graflock type attachment
Attacchi dorsi digitali compatibili:
Hasselblad V, Hasselblad H, Phase One – Mamiya 645, Contax 645, Afi.
A questo link potete scaricare la brochure
Leggenda, ma non è una leggenda vuole, che il nostro compianto Gabriele Basilico contattò il sig. Silvestri: voleva valutare le sue fotocamere come alternative al suo tradizionale banco ottico. Era impegnato in uno sfibrante reportage sulle Alpi. Quando si ritrovarano Basilico disse al sig. Silvestri che aveva scattato, e con piena soddisfazione, qualcosa come 40 scatti, contro i 2 scatti che sarebbe riuscito a portare a casa se avesse usato il suo fido banco ottico.
SUL CAMPO
Si tratta indubbiamente di una fotocamera slow, nel senso che dopo aver inquadrato e focheggiato sotto il telo nero, bisogna smontare lo schermo di messa a fuoco e inserire il dorso portapellicola. E’ quindi una fotocamera adatta a precisi scopi, come paesaggio, architettura e , perchè no, ritratto.
Il treppiedi DEVE essere MOLTO robusto, naturalmente Manfrotto, e non è sbagliato lavorare in due, da un lato per dividersi i pesi, dall’altro per contollarsi a vicenda.
ROLLEI RPX35 E BELLINI HYDROFEN: ACCOPPIATA VINCENTE
Italiana la macchina, italiano lo sviluppo, il proverbiale Bellini Hydrofen ma con una doppia accortezza nella diluizione: le istruzioni recintano 1+15, io avrei diluito come di prammatica 1+31 raddoppiando il tempo di sviluppo ma alla fine sono passato alla diluizione 1+50, aggiungendo un 30% di tempo di sviluppo in più.
Quindi: Rollei RPX 25 in Bellini Hydrofen alla diluizione 1+15: 5′, 30″
ALLA DILUIZIONE 1+31: 11′
ALLA DILUIZIONE 1+50: 11′ x 30% = 14′, 30″
Presa!
Uno scatto che amo molto, eseguito da Giuseppe Petringa. Il dorso Horseman era in condizioni pietose: tutte le guarnizioni da cambiare e addirittura una,in metallo, che trattiemìne la volet, mancante. Risultato, una sfiammatura che ha oltrepassato i bordi del fotogramma per invadere l’area inquadrata, ma alla fine con un risultato, pur non consapevole, molto gradevole, che porta immediatamente l’attenzione di chi guarda la stampa verso il volto del soggetto. Questa sovraesposizione quasi in doro di sfuocatura fa anche da contraltare alla nitidezza del mio volto e degli altri volti – quelli smagriti – dando loro una sensazione di maggiore nitidezza.
L’albero di Bicknell in tutto il suo meraviglioso e temibile splendore
Dopo decenni in cui all’abero venivano rimosse le radici aeree che lasciava pendere come bave di ragno per poi, una volta raggiunto il terreno, solidificarle come colonne doriche e continuare la sua espansione, un sapientissimo lavoro ha permesso di poter raggungere la Biblioteca aggirando l’ingresso principale, permettendo così all’albero di affondare nel terreno le sue radici, dandogli forza, vigore e la possibilità di ingrandirsi ancora buttando fuori nuovi rami. Quando un ramo si allontana a sufficienza del tronco madre, butta altre radici, si solidifica e continua a d allontanarsi dal tronco madre, permettendo così di arrivare a diametri di una singola pianta di decine e decine di metri. Il Ficus Macrophylla custodito nell’Orto Botanico di Palermo è uno dei più grandi ma, sempre a Palermo il Ficus macrophylla subsp. columnaris, di piazza Marina con i suoi 10.000 metri cubi di chioma fogliare è il più grande albero d’Europa.
Il Ficus Macrophylla di Piazza Marina a Palermo
Le auto parcheggiate lungo Piazza Marina a Palermo danno un’idea della spaventosa grandezza della pianta.
Torniamo con le radici aeree per terra
Un canonico dettaglio dello scatto realizzato al Ficus di Bicknell: la diottra, in blu i DECIMI DI MILLIMETRO, in rosso i MILLIMETRI. Calcolando che la targa con il numero civico e sul bordo in basso del fotogramma, dimostriamo da un lato la bontà della Rollei RPX 25 sviluppata a 1+50 in Bellini Hydrofen, dall’altro la corretta mesas a fuoco e infine l’incredibile qualità ai bordi dell’ottica utilizzata sulla Silvestri.
Grana? No parvenu….
Gravemente cartolinesca
ma rende appieno la capacità di stritolamento di questo Ficus la cui evoluzione seguo, fotograficamente dal, che ora sono ? grazie, dicevo che seguo dal 1972…
HANBURY
Clarence Bicknell non è stato il solo inglese e fermarsi alle Porte Occidentali d’Italia. Uomo eclettico, si occupò di botanica, realizzando un erbario che comprendeva tutte le piante delle Alpi Marittime, ritraendole anche in splendidi acquarelli. Fu poi lui a scoprire le incisioni rupestri nella Valle delle Meraviglie. Anzichè fotografarle le ricalcò, in anni di lavoro, stendendo fogli di carta sui grafiiti e ripassandoli con una matita nera, ottenendo delle riproduzioni PERFETTE in scala 1:1 che sono arrivate fino ai nostri giorni.
Thomas Hanbury nacque nel 1832 in Bedford Road a Clapham, nell’area metropolitana di Londra; figlio di un chimico farmaceutico, Daniel Bell Hanbury (1794-1882) e sua moglie Rachel Christy (1802–1876). Suo fratello maggiore fu il botanico e farmacognosta Daniel Hanbury (1825-1875). La famiglia di Thomas apparteneva al movimento dei quaccheri fin dalle sue origini; frequentò prevalentemente scuole di ispirazione quacchera e rimase un ‘Amico’ per tutta la vita.
Cina
Dal 1849 lavorò per gli intermediari del tè, William James Thompson & Sons a Mincing Lane, di Londra. Nel 1853 si recò a Shanghai, dove, con tre partner e con il sostegno finanziario di suo zio, avviò la Hanbury & Co., azienda importatrice in Inghilterra di seta e tè. Nel 1857, insieme a Frederick Bower, iniziò anche l’importazione di cotone.
Hanbury divenne ricchissimo ed è stato il più grande detentore di proprietà a Shanghai.
I residenti europei di Shanghai vivevano in insediamenti autonomi o in concessioni al di fuori delle mura della città, in isolamento fisico e sociale da parte della popolazione locale, per evitare ai residenti stranieri problemi causati da continue rivolte, frequenti nel XIX secolo in Cina (Rivolta dei Taiping, rivolta Miao, Rivolta dei Turbanti Rossi, Rivolta Nian. Hanbury imparò il cinese mandarino, viaggiò all’interno del paese, e fu rispettato dalla popolazione locale.
Hanbury era un membro anglo-americano della Concessione internazionale di Shanghai e contribuì alla creazione di un ospedale nella concessione.
Fu direttore della prima linea ferroviaria costruita in Cina, la breve tratta Woosung Railway. Il primo messaggio telegrafico da Shanghai a Hong Kong è stato inviato dal suo ufficio nella concessione.
La Mortola
Nel 1868 sposò Katharine Aldham Pease (1842–1920), una donna inglese della zona di Bristol. Insieme visitarono la Cina nel 1869, dove Hanbury organizzò la chiusura dei suoi affari e ritornò a La Mortola nel 1871 per stabilirsi definitivamente.
I lavori di restauro di villa Orengo e dei suoi giardini iniziarono verso il 1867. Il fratello Daniel si occupò in modo particolarmente attivo dei giardini insieme all’architetto del paesaggio Ludwig Winter[1] facendone aumentare la superficie fino a occupare 18 ettari dei 45 della tenuta. I signori Hanbury ebbero quattro figli: Cecil, Horace, Daniel e Hilda.[2] Quest’ultima visse in Italia e Inghilterra, divenendo una nota figura nel campo dell’assistenza medica volontaria e nella politica. La villa fu ereditata dal figlio maggiore Cecil che continuò ad arricchirne il giardino installandovisi con la moglie Dorothy.
Nelle due immagini precedenti il Viale degli Ulivi, la prima immagine, scattata da nord verso sud rappresenta uno degli ulivi più secolari la cui base è stata letteralmente segata per lasciare spazio al sentiero; il secondo scatto, della metà dell’800 fotografato da Sud verso Nord rappresenta lo stesso albero quasi duecento anni fa.
Il doppio glicine
Uno dei luoghi che amo di più è la terrazza coperta che da verso il mare, sostenuta da colonne di marmo intrecciate, quasi un chiostro; nel corso dei decenni i due glicini piantati esternamente ai lati esterni della terrazza si sono inurbati al suo interno, avvolgendosi a loro volta lungo le colonne e facendosi strada ovunque, entrando da qualche persiana per poi uscirne con un volvolo successivo. Questi scatti sono stato realizzati sempre su Rollei RPX 25, il primo senza filtri, il secondo con il filtro rosso.
Il glicine di Ponente con filtro rosso 25a
Nonostante una parte del glicine in questa immagine sia all’ombra, e nonostante la Rollei RPX 25 sia solo una pellicola iperpancromatica e non ingrarossa, basta l’uso di un filtro rosso 25A, nel secondo scatto, per evidenziare l’effetto Wood della clorofilla contenuta del glicine: le parti del glicine irrorate dal sole e dalla radiazione infrarossa risultano quasi completamente bianche, quelle in ombra solo lievemente alleggerite nei toni, il risultato è un parainfrarosso, già onirico senza essere troppo avulso dalla realtà, come nelle fotografie che venivano scattate all’inizii del ‘900 su pellicole ortocromatiche.
La persiana e il glicine che avanza
Una persiana chiusa e il glicine che con i suoi volvoli/tentacoli avanza; è suficiente che la persiana rimanga chiusa per qualche mese che il glicine avrà il modo di penetrare tra le gelosie e, trovandosi al buio, uscire per cercare la luce; nel frattempo si solidificherà, e anche la parte l buio, che non butterà foglie, si irrobustirà comunque fino a sfondare la persiana. La Natura ci rispetta finchè le stiamo attorno e cerchiamo di addomesticarla, ma appena si rende conto che non ci siamo più, matematicamente prende il nostro posto e distrugge tutto quanto di artificiale abbiano costruito. la Silvestri era perfettamente in bolla e leggerissima decentrata verso il basso.
Una inquietante qualità
Quello che mi inquieta, piacevolmente, dello scatto precedente, è il livello di dettaglio di una parte estrema del fotogramma, qui la parte in basso a destra: sono perfettamente visibili le nervature delle foglie, non c’è alcuna perdita di nitidezza o di distorsione. Questo significa da un lato che la fotocamera era perfettamente in bolla, che la messa a fuoco era assolutamente corretta, che i tre stop di chiusura del diaframma hanno permesso una nitidezza assoluto anche sui punti che non cadevano sul piano di fuoco e che la Rollei RPX 25 si dimostra nuovamente una pellicola con una tale risoluzione nativa che questo scatto, se non fosse per la proporzione tra i lati, lo si potrebbe tranquillamente scambiare per uno scatto realizzato in 4 x 5″ con un banco ottico.
La nostra preziosa diottra
Dempre armato della mia preziosa diottra con scala in decimi di millimetro, in blu e in millimetri, in rosso, sono andato a indagare un dettaglio esattamente al centro del fotogramma; complice una luce, pur morbida, proveniente di lato, il trama texture della vernice riarsa dal sole è quasi tridimensionale e i dettagli fini dei volvoli del glicine sono assolutamente perfetti. Non si potrebbe davvero chiedere di più a una fotografia agli alogenuri di argento. Il fatto di aver lavorato SEMPRE su treppiedi, SEMPRE con scatto a filo e SEMPRE con diaframmi non troppo chiusi per evitare la diffrazione, E SEMPRE con ottiche di eccellenza, unito a un lungo sviluppo in Bellini Hydrofen ala diluizione 1+50 ha portato, io credo, allo scatto tecnicamente PERFETTO.
Ridondanza svedese
Sempre in RPX 25 Rollei ho caricato una innocua Hasselblad 501 CM, armata con uno Zeiss Distagon 4/50mm..
Zeiss ogni volta dice la sua
Anche se il Dstagon è una focale grandangolare estrema, seconda solo al Biogon 38mm, la qualità è raccapricciante, e la correzioni delle possibili aberrazioni a cuscinetto o a barilotto completamente annullate.
Un’ottica che spacca
Nonostante lo scatto sia stato realizzato in ombra, senza quindi l’aumento di sensazione di contrasto del trama texture di cui avrebbe beneficiato il cancello se fosse stato colpito da una luce di dettaglio, il livello di dettagli è quasi imbarazzante. Come sempre le lineette blu della diottra rappesentano i decimi di millimetro, quelle rosse i millimetri.
Conclusioni
Non c’è niente da fare: più è grande il formato del fotogramma, dando per scontato un’ottica e una pellicola di eccellenza e uno sviluppo altrettanto eccellenza, più la qualità nella fotografia agli alogenuri d’argento sale in modo esponenziale e visibile.
Senza arrivare ai pesanti banchi ottici o alle folding 4 x 5″ anche un modesto medio formato, potrebbe essere già un 6 x 4,5 raddoppia la qualità e la gamma tonale degli scatti. A vantaggio del 6 x 4,5 e del 6×7 c’è il fatto che la maggior parte delle carte disponibili sul mercato hanno lo stesso rapporto tra i lati, quindi non c’è sfrido.
Al contempo il rapporto tra i lati del formato 6 x 9 sono i medesimi del 24 x 36 mm; quindi, a parità di proporzioni, la qualità aumenta di oltre il 500% ma il taglio dell’immagine rimane il medesimo.
A voi la, anzi, le scelte
Buon tutto a quasi tutti
Gerardo Bonomo
FOTOCAMERA: SILVESTRI T30
Sekonic: Apromastore
Filtri: Marumi
Pellicole: Rollei RPX 25
Sviluppo: Bellini Hydrofen
Treppiedi: Manfrotto
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