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UNA ROLLEIFLEX PROTAGONISTA DI UN MIO CORSO ONE TO ONE

Con una Rolleiflex Tessar e l’allievo Marco Mansutti un one to one di due giorni, dalla ripresa alla stampa. Argento come se piovesse….. Rolleiflex 3,5 T, pellicola Rollei Superpan 200 sviluppata in Bellini Hydrofen alla diluizione 1+31. Risultato: da paura.

Durante questo corso one to one con Marco abbiamo usato la sua Rolleiflex T, per la precisione la T1, prodotta in circa 5000 esemplari dal 1958 al 1961, l’esemplare in questione è sicuramente mio coetaneo, ovvero del 1958:

APPROFONDIMENTO DELLE FONTI

PRIMA FONTE https://www.antiquecameras.net/rolleiflex.html

Qui dice che si va dal ‘58 al ’66 e viene denominata Rolleiflex T Type 1 e che si ipotizza in base alla matricola, 99.000.

SECONDA FONTE https://rolleigraphy.org/snt.php

Buona visione e buona lettura a tutti

 

 

Gerardo Bonomo

Rolleiflex T, come sempre, un po’ di storia è d’obbligo

E’ buffo, ma anche questa Rolleiflex è stata prodotta nel 1958, mio anno di nascita, è un periodo che continuo a imbattermi in fotocamere coetanee…

Questo non è certo il primo articolo su Rolleiflex che pubblico sul mio sito, e al contempo ho parlato di molte altre fotocamere. ma non c’è nulla da fare, quando mi ritrovo tra le mani una Rolleiflex o devo parlare di Rolleiflex, le cose sono sempre diverse, e in meglio.

Senza volermi ripetere troppo rispetto agli articoli che ho già pubblicato, Rolleiflex è una biottica nata nel 1927, da un’idea di Franke & Heidecke . Quest’anno è anche il centenario della fondazione della Rollei e la tedesca Maco, che produce oggi le pellicole Rollei, ha voluto omaggiare i due costruttori con una edizione limitata di pellicole – ahimè 135mm ) ribattezzata PAUL & RHEINOLD, dai nomi dei due fondatori.

Rolleiflex, è un fatto, è una fotocamera COMPLETAMENTE diversa da tutte le altre, limitandoci a confrontarla solo con le altre medio formato. Apparentemente spartana, ottiche NON intercambiabili, una serie di accessori proprietari, a partire dai filtri e dalle lenti addizionali dotati di una baionetta proprietaria e di qualità ottica eccelsa; nessuna azienda si è mai azzardata a produrre degli accessori compatibili con Rolleiflex. Mirino a pozzetto, eventualmente sostituibile con il pentaprisma proprietario, ma traguardare nel pozzetto originale, aiutandosi o meno con la lente di ingrandimento incorporata è un’esperienza unica: una luminosità che per l’epoca può sembrare inconcepibile, e questo anche grazie al fatto che l’ottica da visione è diversa dall’ottica da presa, il che significa anche che quando si monta un filtro, l’immagine di visione rimane identica, perchè i filtri si montano sull’ottica da presa. Rolleiflex ha prodotto anche un sistema, il Rolleikin, per utilizzare la pellicola 24x36mm . Le Rolleiflex dotate di esposimetro al selenio, diciamo così, autoalimentato, dispongono anche di un diffusore che permette di usare l’esposimetro incorporato anche per letture in luce incidente. Ha prodotto teste panoramiche con livelle a bolla in grado di effettuare su otto scatti foto a 360 gradi, in modo che ogni fotogramma sormontasse leggermente quello precedente. Poi ci volevano stampatori eccellenti per la foto panoramica finale, ma tant’è. Rolleiflex è riuscita a produrre un sistema per trasformare la macchina in un diaproiettore; alcune Rolleiflex hanno il caricamento della pellicola automatizzato, neppure Hasselblad è mai riuscita a rendere il caricamento dei suoi magazzini semiautomatizzato. Rolleiflex ha sempre fatto produrre le proprie ottiche da Zeiss e ancora oggi la qualità di uno scatto realizzato con Rolleiflex è semplicemente superlativo. Lo specchio fisso unito all’otturatore centrale posizionato nell’obiettivo rende Rolleiflex una fotocamera completamente assente da vibrazioni durante lo scatto. Per concludere, chiunque, anche chi non è ancora “addetto ai lavori” quando impugna una Rolleiflex e guarda nel pozzetto, pur coi lati invertiti – che hanno il loro fascino – rimane sbalordito. Una Rolleiflex che abbia avuto nel corso dei suoi decenni la sua fisiologica manutenzione scatta ancora oggi come cent’anni fa. Un paragone d’obbligo: che scatti faranno tra cent’anni i nostri smartphone?

 

Rolleiflex T, avanti tutta

Durante questo corso one to one con Marco abbiamo usato la sua Rolleiflex T, per la precisione la T1, prodotta in circa 5000 esemplari dal 1958 al 1961: la sua, dalla matricola, è proprio una delle prime, quindi una mia coetanea. Abbiamo usato come pellicola la Rollei Superpan 200, una pellicola straordinaria di Rollei dotata di quel minimo di sensibilità sufficiente, nelle condizioni in cui abbiamo lavorato: ritratti con luce continua e scatti nel bosco al crepuscolo, con l’uso del treppiedi e di uno scatto a filo, in modo da scongiurare il micromosso, causato in questo caso soprattutto dai soggetti, sia nei ritratti che nelle immagini dove la brezza avrebbe potuto far muovere la vegetazione. La Rolleiflex T inoltre ha le ghiere dei diaframmi e dei tempi accoppiate: una volta individuata la corretta accoppiata tempo/diaframma è possibile variarla, aprendo il diaframma o usando un differente tempo di posa in modo che il valore EV rimanga sempre lo stesso: se apriamo il diaframma di 1 stop il tempo di scatto si dimezza di uno stop, se usiamo un tempo di scatto più lungo, il valore del diaframma automaticamente si dimezza, un’altra vera comodità. Per “liberare” i selettori dei tempo dei diaframmi basta tirare verso l’esterno la leva che li muove e a questo punto è possibile decidere un differente tempo di scatto e un differente diaframma.

 

 

Il caricamento della pellicola

Come qui sopra spiegato, nella Rolleiflex T all’inizio del caricamento la carta di protezione deve passare sopra al primo rullo di acciaio, e non al di sotto come per i modelli a caricamento automatico al di sotto del quale c’è il pressostato. Per tutti gli altri modelli Rolleiflex privi di pressostato, come la Rolleiflex T in questione, la carta di protezione va invece fatta passare al di sopra dei due cilindri.

 

 

 

Il selettore dei tempi e dei diaframmi

 

Ecco evidenziato il selettore dei tempi e dei diaframmi; in posizione di riposo sposta contemporaneamente sia la ghiera dei tempi che quella dei diaframmi rispetto al valore EV impostato. Una volta “estratto”, libera i due selettori per permettere all’utente di scegliere a piacere una certa apertura con un determinato tempo di scatto.

 

 

 

 

 

 

 

Rollei Superpan 200 e Bellini Hydrofen: accoppiata vincente

Non basta una fotocamera straordinaria per fare foto, almeno tecnicamente, straordinarie: occorre anche una pellicola altrettanto straordinaria e un rivelatore altrettanto straordinario. Durante questo corso one to one abbiamo usato una delle mie pellicole preferite, la Rollei Superpan 200, e non certo per omonimia.Con la Superpan 200 Una nuova frontiera è stata abbattuta: La ROLLEI SUPERPAN 200, ha tutte le caratteristiche per soddisfare normali esigenze, come pure particolari: Ottima pellicola universale ISO 200/24° fino180 lp/mm, 750 nm. Ma il dato più importante:
SOSTITUISCE LA MITICA AGFA SCALA 200®, ovvero ha una gamma tonale così estesa che può subire il bagno di inversione ed essere trattata come una diapositiva in bianco e nero.. Il Bellini Hydrofen, rigorosamente Made in Italy, si ispira al compianto Studional Spezial di Agfa. Rivelatore liquido per negativi caratterizzato da eccezionale nitidezza e finezza di grana, buon utilizzo della sensibilità e riproducibilità del contrasto. I parametri si mantengono stabili per lunghi periodi di tempo grazie all’ottima protezione anti ossidazione. In sviluppatrice a 1+15, in tank da 1+15 a 1+31 con una ancor maggiore acutanza e compensazione. Io lo adopero sempre alla diluizione 1+31, raddoppiando i tempi riportati nella tabella qui sotto e anticipo lo sviluppo con un prebagno di un minuto in acqua del rubinetto  20°C, quindi i 6’30” che è il tempo di sviluppo della Rollei Superpan alla diluizione 1+15, alla diluizione 1+31 è stato portato a 13 minuti. Vi posso assicurare: minuti spesi bene!

 

 

La corretta esposizione, il passo fondamentale

Non poteva naturalmente mancare un esposimetro esterno, nel mio caso l’immancabile Sekonic L-308 X Flashmate che uso innanzitutto in luce incidente, senza disdegnare qualche misurazione in luce riflessa, benchè l’area inquadrata dalla cellula di questo esposimetro sia ovviamente più generica di esposimetri di calibro superiore.

 

L’esposimetro assoluto

Quando  necessaria una misurazione in luce riflessa estremente spot, e magari si vuol remotare e modificare la potenza di determinati flash a distanza, ecco l’ultimo nato di casa Sekonic, il modello L-858D Speedmaster. Questo modello in particolare è in grado di misurare anche la luce flash ma non è in grado di remotarli ( poco male, esistono i trasmettitori wireless ). Ovviamente ha un prezzo più rilevante rispetto al 308 ma ha dalla sua la possibilità di misurare la luce riflessa con un angolo di solo 1° e per di più traguardando l’immagine attraverso l’apposito mirino ingranditore. mentre nel modello L 308 la lumisfera piatta è opzionale, e va comunque a coprire la fotocellula, qui la lumisfera può essere estesa o rientrata in modo da lavorare in entrambi i modi, senza mai “accecare ” la fotocellula per le misurazioni in luce riflessa. L858D Speedmaster è l’esposimetro che racchiude oltre 60 anni di tecnologia Sekonic mettendo a disposizione innumerevoli possibilità di misurazione e comandi.
Oltre alle funzioni di misurazione della luce ambiente e luce flash, incidente e riflessa con lettura spot a 1°, L858D Speedmaster è il primo esposimetro ad offrire la possibilità di misurazione della durata del lampo, definendo la soglia di misurazione compresa fra t=0,1 e t=0,9.
Grazie alla nuova tecnologia Sekonic, supportata dall’ampio display LCD a colori, L858D può misurare anche i flash in modalità HSS.
Grazie ai moduli radio opzionali, può essere agevolmente integrato nei sistemi di triggering Elinchrom Skyport, Phottix e Pocket Wizard.

Io credo che l’esposizione nel mondo del bianco e nero e non solo sia assolutamente essenziale, e credo anche che un esposimetro, a differenza di una fotocamera digitale (???) sia per tutta la vita. E’ quindi un prodotto da prendere in considerazione. Se poi siamo fuori budget, c’è sempre il modello 308.

 

 

 

I risultati

Giornata impietosa dal punto di vista climatico, abbiamo così cominciato con degli scatti in interno, naturalmente rigorosamente su treppiedi e con scatto a distanza. Qui l’illuminazione è stata ottenuta da un Bulbo LED da 45W con filtro di conversione tungsteno della Westcott. Questo bulbo LED 45W è composto da 72 diodi luminosi in grado di garantire oltre 20,000 ore di uso. I LED emettono una luce ad elevata resa dei colori 95 CRI bilanciata daylight (5600K), completamente Flicker-Free, che può essere convertita tramite l’apposito filtro di conversione ad una temperatura più calda per poter essere utilizzata con lampade ad incandescenza. Grazie alle dimensioni ridotte e all’universale attacco a vite E27 questo bulbo è compatibile con la maggior parte degli illuminatori disponibili anche nativi per lampade ad incandescenza. Il bulbo è stato posizionato in un bank ed è servita come luce posteriore.

La luce di schiarita frontale, per dare luccicanza agli occhi è stata ottenuta da un pannello LED Phottix M200R, sufficientemente potente, dimmerabile sia nella temperatura di colore che nella potenza. Diaframma relativamente aperto, f/5,6 e un tempo di scatto moooolto lungo, 1/8 di secondo. ma il treppiedi e lo scatto a filo ha impedito che la macchina si muovesse durante lo scatto e una buona dosa di curaro iniettata nel sottoscritto lo hanno perfettamente immobilizzato. Nel dettaglio la diottra è segnata in millimetri, ancora non si vede la grana, la gamma tonale è ottima, a mio parere un ritratto posato eccellente. E vi posso assicurare che focheggiare in modo così perfetto gli occhi del soggetto, attraverso lo schermo di messa a fuoco di una Rolleiflex T priva di telemetro a immagine spezzata al centro, per di più a f/5,6 quindi con una profondità di campo di fatto inesistente, di fatto non è da tutti e non è da tutti i giorni.

 

L’allievo supera il Maestro?

Marco Mansutti, l’allievo di questo corso one to one, fotografo dal sottoscritto nelle stesse condizioni di illuminazione precedente. Qui il lavoro è stato più facile perchè mancava il cappello di paglia che decisamente sparava e a cui è stato necessario applicare, in fase di stampa, una importante bruciatura.

 

 

 

L’importanza della ridondanza

Nel tardo pomeriggio, tra la luce che svaniva, il cielo greve di nubi e il fogliame che quasi non faceva passare luce, ci siamo trovati in una brughiera non solo monocroma, ma completamente sciapa, dove la luce permetteva di vedere ma non di fotografare. Abbiamo cercato così dei soggetti che avessero una qualche vivacità, per esempio questa pozzanghera con i suoi riflessi. Nonostante il diaframma a f/11 il punto di fuoco prossimale alla base della pozzanghera non ha permesso una lettura dettagliata dell’intera pozzanghera, ma questo ha avuto un senso; nella doppia immagine successiva la foto è stata rifata con un diaframma leggermente più aperta ma, o il treppiedi non era ben piantato nella mota, o inavvertitamente è stato toccato proprio durante l’apertura dell’otturatore. Morale: una foto irrimediabilmente mossa. Perchè la ridondanza? perchè sono troppe le variabili per accontentarsi di un singolo scatto, o della scelta di una singola apertura di diaframma e relativa aumentata o diminuita r di campo. Qui l’errore è avvenuo nel secondo scatto, ma poteva succedere nel primo. Morale, due scatti sono sempre meglio di uno.

Luce morente

Proseguiamo con lo shooting, la luce si fa sempre più piatta e più fioca, cerchiamo quindi dei dettagli, degli elementi che abbiano un loro contrasto di riflettanza e troviamo questa betulla schiantata. Il fuoco è stato fatto circa al centro del tronco ma, nonostante il diaframma chiuso a f/11, lo sfondo è risultato sfuocato, che era poi l’intento finale, anche per staccare i vari piani. Anche in questa immagine si nota quanto sia incredibilmente impietosa l’ottica della Rolleiflex T, qui un Tessar f/3.5 bay 2. Quasi tutto quello che non giace sul piano di fuoco va a perdersi, ma al contempo con un piacevolissimo effetto bokeh.

Inquadratura quasi in controluce

Qui marco Mansutti avrebbe preferito un’inquadratura in cui il tronco sporgesse appena da un lato, io gli ho suggerito una presena più piena del tronco, anche in questo caso, il gioco dei funghi bianchi sul tronco nero e il leggero controluce hanno vivacizzato la morbidezza dell’immagine: la foto è stata scattata alla minima distanza di messa a fuoco, senza l’uso di lenti addizionali, a diaframma f/8, per perdonare da un lato possibili errori di fuoco, di contro lo sfondo, luminoso, si è perfettamente sfuocato e ha creato una sorta di “pasta” sulla quale il tronco si staglia con più evidenza

Riflessi, riflessi e ancora riflessi

Un agonizzante rivo d’acqua in una zona brulla pareva quasi una colata di mercurio vivo a differenza della fosca monocromia del bosco, Il riflesso era completamente diverso se si fotografava il sentiero dal basso verso l’alto o dall’alto, come in questo caso. Si è data l’esposizione al riflesso dell’acqua e al sentiero chiaro e bagnato mettendo in secondo piano la leggibilità della vegetazione che lo circondava, e di nuovo, in un”uggiosa giornata, ecco una foto con una straordinaria gamma tonale. Impossibile avere a fuoco ogni dettaglio, così Marco ha focheggiato il masso in mezzo al sentiero, ha chiuso il diaframma  a f/16 e giocando con la profondità di campo ha dato una buona leggibilità a tutta l’immagine, anche se la parte a fuoco, come si nota dal dettaglio, indubbiamente spicca. All’andata il sentiero non dava alcuna sensazione, perchè non era possibile vedere i riflessi, al ritorno, nonostante la luce stesse scemando, il sentiero si è come “illuminato”, grazie ai riflessi, e ha permesso di scattare una fotografia accettabile.

Verso il tramonto

Con lo scorrere del tempo la luce certo non migliora, si va verso l’imbrunire, ma ecco un altro soggetto che ha un suo contrasto naturale e la cui forma si adagia piacevolmente nel formato 6×6 cm. E’ incredibile, nel dettaglio osservare come l’ottica abbia risolto anche i dettagli più fini, come le lamelle poste sotto i funghi.

 

L’allievo fotografa il maestro e viceversa

Eravamo ormai prossimi all’imbrunire, il cielo non era filtrabile ma in entrambe le immagini la parte principale era data dalla catasta di bancali e dai soggetti; la relativa morbidezza dei volti è data dall’evidente controluce ma non guasta di certo. Anche in questi ultimi due scatti, come di prammatica, treppiedi e scatto a filo

 

 

 

 

Conclusioni

Voglio chiudere con un’immagine emblematica, tratta dal libretto di istruzioni della Rolleiflex T, ovvero il sistema di blocco del pulsante di scatto per evitare scatti accidentali. E’ una predisposizione molto pratica che permette di mantenere la fotocamera carica e pronta all’uso senza che si scatti involontariamente un’immagine ma al contempo è anche metaforica, sul fatto che dopo aver cercato un soggetto, montato il treppiedi, inquadrato, valutato l’esposizione ed essere pronti allo scatto, molte volte la cosa più opportuna è non scattare, arrivare quindi a quella finezza di visione che ti permette, mentre stai inquadrando il soggetto per l’ultima volta e aggiustando con gli ultimi movimenti il fuoco, che il soggetto è privo di fotogenia, e che magari spostandosi, sollevando o abbassando la macchina, il soggetto acquista la giusta fotogenia. Non basta trovare il soggetto apparentemente giusto, bisogna anche studiarlo, quando possibile girandoci attorno e inquadrarlo da vari punti di vista e varie altezza per potergli strappare l’anima.

Questo è quello che insegno innanzitutto nei miei corsi one to one: la consapevolezza, la capacità prima di guardare e poi di osservare la realtà, per poi inquadrarla e valutare, solo quando si porta l’occhio al mirino o al pozzetto della fotocamera, anche se ci sono voluti minuti e minuti per stazionare il treppiedi, mettere in bolla la fotocamera, valutare l’eposizione, scegliere il punto di fuoco, focheggiare e valutare il corretto diaframma d’uso per aumentare o diminuire la leggibilità dello sfondo, se scattare o meno.

Perchè è questo il punto: la fotocamera non vede quello che vede l’occhio umano e viceversa, qui poi manca, come in tutta la fotografia, il senso della tridimensionalità e in più i colori. E allora si lavora di ombre e di luci, di trame, di dettagli, si enfatizzano i cieli sereni con gli appositi filtri, ogni scatto deriva da una precisa consapevolezza di quello che sarà poi il risultato finale, ovvero una VERA FOTOGRAFIA, o un errore di percorso.

Alla prossima, e soprattutto, buona consapevolezza a tutti

 

Gerardo Bonomo

 

Ringrazio Marco Mansutti per avere messo a disposizione gli scatti che ha realizzato durante il corso, alcuni, forse, con qualche mio sussurrato suggerimento….

 

 

 

 

 

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