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Mamiya 7 versus Mamiya 7 II: Chi vince ?

Mamiya 7 è una fotocamera che è stata prodotta dal 1995 fino al 2016, è quindi una delle ultime fotocamere a pellicola prodotta in serie.

In oltre vent’anni di produzione ha subito diverse migliorie fino ad arrivare all’ultimo modello, la Mamiya 7II.

Formato 6×7 cm, impressiona 10 fotogrammi su un rullo 120, mirino galileiano con cornicette luminose delimitatrici dell’inquadratura che tengono conto della parallasse messa a fuoco a telemetro e un esposimetro esterno, non TTL, ma piuttosto preciso, in quanto adatta il suo angolo di campo in base all’ottica montata.La mancanza di uno specchio reflex ha permesso agli ingegneri di Mamiya di costruire una serie di obiettivi simmetrici, di elevatissima qualità, con otturatore elettromagnetico annegato tra le lenti e focali che vanno dal 43mm ( 21mm nel corrispondente formato 24x36mm ) fino al 210mm (circa 100mm nel corrispondente formato 24x36mm.

L’area utile del fotogamma è di ben 56×69,5mm e il rapporto tra i lati è il medesimo della maggior parte delle carte da stampa. Tempi impostabili manualmente da 1/500 fino a 4 secondi, più la posa B e la priorità di diaframmi A e la priorità di diaframmi AEL con blocco del tempo di scatto impostato dall’otturatore. Il peso è di 930gr senza ottica e le dimensioni superano quelle di una Rolleiflex o di un Hasselblad. Ma la qualità finale giustifica pesi e dimensioni, che si riferiscono poi a un 6z7cm non a un 6×6 cm.

Il confronto

Ho voluto confrontare una Mamiya 7 armata con un 43mm e una Mamiya 7II armata con un 65mm in una location particolare, delle cave abbandonate dove la debolissima luce invernale arrivava a malapena a sfiorarne il fondo. Ma la pellicola Rollei Superpan 200, il treppiedi, i tempi sempre superiori al minuto a f/11 hanno permesso di portare  a casa risultati eccellenti , ricchi di dettagli e con una gamma tonale incredibile. Le Mamiya 7 sono difficili da reperire sul mercato dell’usato – chi la possiede se la tiene stretta – e il prezzi sono di gran lunga superiori a medio formato altrettanto blasonate, come Rolleiflex o Hasselblad. Ma il risultato, l’ergonomia d’uso e la ricchezza di dotazioni funzionali lo giustificano.

Buona lettura e buona visione a tutti

Perchè lavorare in medio formato e per di più in 6×7 cm?

Perchè c’è differenza tra lavorare in piccolo e medio formato? Perchè a parità di ingrandimento il medio formato subisce un ingrandimento inferiore, quindi, a parità di pellicola e di ingrandimento, quindi di formato di carta, meno grana nella stampa finale e più gamma tonale.

Non tutti forse sanno che se il piccolo formato è 24x36mm, il medio formato chiamato 6×4,5cm è in realtà 56×41,5mm, il cosiddetto 6×6 cm oscilla, a seconda dei modelli di fotocamera, tra il 55×55 e il 58x58mm. Il formato 6x7cm è di fatto quello più aderente alla realtà , mi riferisco a quello della Mamiya 7: 56×69,5mm. Il rapporto tra i lati è molto simile al rapporto tra i lati della maggior parte delle carte da stampa: niente sfridi, quindi, in stampa.

Si paga pegno

Una fotocamera 6×7 cm, qui il caso della Mamiya 7, è indubbiamente più ingombrante e più pesante non solo di una 24×36, ma anche di una Rolleiflex o di una Hasselblad: pesa circa un chilo solo corpo. Sempre di casa Mamiya la RB e la RX sono più pesanti e ingombranti delle Mamiya 7. Questi pesi e l’innata ricerca della qualità di chi vuole usare questo tipo di medio formato, suggerisce inoltre pellicole di media/bassa sensibilità e, nonostante la mancanza dello “schiaffo” del sollevamento dello specchio o della traslazione della tendina ( le Mamiya 7 hanno un otturatore elettromagnetico centrale indovato tra le lenti di ciascun obiettivo ) l’uso del treppiedi è più che raccomandato, per non perdere tutta la qualità offerta dal 6×7 a causa del micromosso. A questo punto, se aggiungiamo il treppiedi – pur non obbligatorio – ci ritroviamo in un approccio di scatto molto slow, ideale per diverse tipologie fotografiche ma non tutte. Poi ciascuno è libero di lavorare con pellicole di sensibilità medio alta e scattare a mano libera.

Ma posso garantirvi che l Mamiya 7, usate con le appropriate pellicole, su treppiedi e con l’attivazione dell’otturatore a mezzo scatto a filo, danno risultati assolutamente straordinari.

Il passo successivo è il banco ottico

E’ vero che dopo il formato 6×7 c’è il 6×8 e il 6×9, ma di fatto il passo successivo a Mamiya 7 è il banco ottico. L’area utile, anche solo nel formato 10x12cm è quasi il doppio, pesi e dimensioni diventano davvero da soma, il treppiedi è veramente d’obbligo, l’autonomia di scatto si limita a due fotogrammi per chassis, contro i dieci fotogrammi della Mamiya 7. Certo, non abbiamo decentramenti e basculaggi ma la stampa finale di un 6×7 realizzata da un negativo perfetto, non è poi molto dissimile da quella di un 10x12cm, movimenti di macchina a parte. Ho provato a confrontare scatti realizzati allo stesso soggetto, con la stessa pellicola, fatti con Mamiya e con il banco e non ho trovato tutta questa differenza. Ho invece confrontato scatti realizzati in 23x36mm e 6x7cm: la differenza è abissale, naturalmente a vantaggio del 6×7 cm.

Un pò di storia

Mamiya nasce in Giappone nel 1940. Nel 1949 avvia una produzione di fotocamere piccolo formato a telemetro per passare nel 1961 alle piccolo formato reflex.

Il mercato delle reflex piccolo formato non solo era inflazionato, ma aveva competitor del calibro di Nikon, Canon, Pentax, Olympus, Minolta,Topcon , giusto per citarne alcuni.

La svolta avviene nel 1970: Mamiya introduce nel mercato la RB67 ( RB sta per revolving back, ovvero la possibilità di ruotare il magazzino per passare dal formato orizzontale a quello verticale, e non la fotocamera )., una SLR (single lens reflex) professionale con formato 6x7cm. La RB67, un’ingombrante medio formato con incorporato nel corpo macchina un soffietto close-up, fu un’innovazione ed un successo. Prima di questa macchina le medio formato utilizzavano un formato 6×6, il quale non richiedeva alla macchina di essere ruotata per le fotografie orientate in verticale, un problema con macchine molto grosse e ingombranti montate su treppiedi. La RB67 presentava invece un dorso rotante, con la possibilità di fotografare sia in verticale che in orizzontale (landscape e portrait) senza dover ruotare l’intera macchina fotografica. La RB67 diventò presto una macchina largamente diffusa negli studi di fotografi professionisti.

La RB67 fu seguita dalla più avanzata RZ67 nel 1982. Queste macchine fotografiche segnarono Mamiya fra le principali produttrici di macchine professionali medio formato, insieme con HasselbladRolleiBronica e Pentax.

1995: arriva la Mamiya 7

Mamiya aveva già realizzato reflex medio formato a ottica intercambiabile anche in formato 6×4,5. Ma la vera svolta avviene nel 1995, con la presentazione della Mamiya 7. E’ indubbio che i progettisti di Mamiya non siano rimasti insensibili alle Fuji medio formato a mirino galileiano che conquistavano sempre più fotografi professionisti.

E’ disponibile sia in livrea antracite che champagne.

La Mamiya 7 è una fotocamera 6×7 cm, che consente di ottenere dieci fotogrammi sul rullo 120, ma può montare anche il rullo 220, raddoppiando gli scatti, e con un particolare accessorio anche il rullo 135, da cui ottenere 16 fotogrammi in un formato “panoramico”, che verrà poi ripreso da Hasselblad con la XPan.

Ma vedremo i vari aspetti d’uso nel prossimo capitolo, dedicato alla Mamiya 7II che si discosta dalla 7 per pochissimi elementi.

1999: Mamiya 7II

Dal 1995 Mamiya produce la 7 prima la 7II poi, fino al 2016, una macchina quindi piuttosto longeva.

La Mamiya 7II ha alcune differenze, ma non sostanziali, rispetto alla 7.

1: dispone di un terzo anello di aggancio della cinghia per poterla portare al collo anche in orizzontale

2: il sistema di apertura /chiusura della tendina interna per sostituire le ottiche con la pellicola al suo interno è stato modificato, ma a lato pratico, non cambia nulla

3: è stato introdotto il meccanismo per le doppie esposizioni intenzionali. Io personalmente non lo uso ma questo sistema è anche utile per far scattare la macchina a vuoto senza aprire il dorso della fotocamera.

4: il sistema telemetro/cornicette luminose è stato migliorato, aumentandone luminosità e contrasto, ma anche in questo caso la differenza non è eclatante

5: l’attacco filettato per gli scatti a distanza è stato spostato dalla parte destra superiore della calotta alla parte sinistra in basso vicino al fondello, per evitare che lo scatto a filo si frapponga alla lente frontale senza che l’operatore se ne possa accorgere, traguardando infatti attraverso il mirino galileiano.

6: al colore antracite viene sostituita un colore nero, più professionale, rimane comunque anche la finitura champagne. L’intero case è ricoperto da una gomma che agevola il grip delle dita.

70 fm3a foto chiusura 1080
10 fm3a articolo attacco ai della Nikon FM3A1080

Una nota dolente: la batteria. ( ma basta averne una di scorta )

Entrambe le Mamiya 7 funzionano esclusivamente con una batteria d 6v. Non sono previsti tempi meccanici. L’elettronica  a bordo non è poca – le macchine possono lavorare anche in A e in AEL- . L’otturatore centrale annegato all’interno di ciascun obiettivo è elettromagnetico. Ma al contempo sono macchine molto solide che, se debitamente protette da urti e alti livelli di umidità, si comportano egregiamente per decenni

Esiste in Italia un riparatore specializzato sui prodotti Mamiya 7 e non solo ): AD Service

 

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Un trucco, riportato nel manuale di istruzioni della Mamiya 7II per verificare il corretto stato di carica della batteria

Le istruzioni recitano che portando il selettore dei tempi su un 1/15 e premendo a metà il pulsante di scatto, traguardando nel mirino si può leggere il tempo di 1/15 rosso, luminoso e fisso. Questo significa che la batteria è carica.

Ma c’è un altro sistema: basta far partire l’autoscatto – a fotocamera scarica, naturalmente, e valutare se il LED dell’autoscatto resta acceso per dieci secondi, lampeggiando per gli ultimi tre e attivando alla fine il tempo impostato. Se è così significa che la batteria è PIENAMENTE carica, in quanto l’autoscatto consuma molta batteria e se la batteria fosse quasi scarica la sua corsa si interromperebbe.

 

70 fm3a foto chiusura 1080
10 fm3a articolo attacco ai della Nikon FM3A1080
10 fm3a articolo attacco ai della Nikon FM3A1080
10 fm3a articolo attacco ai della Nikon FM3A1080
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Le principali differenze della Mamiya 7II verso la Mamiya 7

Vediamo adesso nel dettaglio le principali differenze:

1: dispone di un terzo anello di aggancio della cinghia per poterla portare al collo anche in orizzontale

2: il sistema di apertura /chiusura della tendina interna per sostituire le ottiche con la pellicola al suo interno è stato modificato, ma a lato pratico, non cambia nulla

3: è stato introdotto il meccanismo per le doppie esposizioni intenzionali. Io personalmente non lo uso ma questo sistema è anche utile per far scattare la macchina a vuoto senza aprire il dorso della fotocamera.

4: il sistema telemetro/cornicette luminose è stato migliorato, aumentandone luminosità e contrasto,ma anche in questo caso la differenza non è eclatante

5: l’attacco filettato per gli scatti a distanza è stato spostato dalla parte superiore destra della fotocamera alla parte inferiore sinistra: questo per evitare che lo scatto a filo s posizioni davanti all’ottica, invisibile all’operatore, che lavora con mirino galileiano.

6: al colore antracite viene sostituita un colore nero, più professionale a cui si aggiunge un discutibile color champagne. L’intero case è ricoperto da una gomma che agevola il grip delle dita

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10 fm3a articolo attacco ai della Nikon FM3A1080
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La ghiera dei tempi: la centrale di controllo.

Sulla parte superiore della fotocamera troviamo la centrale di controllo: la Mamiya 7- e la 7II – lavorano da 1/500 fino a 4 secondi e posa B. L’esposimetro, pur non TTL, può essere regolato da 25 fino a 1600 ISO. E’ possibile scattare in priorità di diaframmi ( A ) e in priorità di diaframmi con blocco dell’esposizione (AEL). E’ possibile una staratura intenzionale dell’esposizione da -2 fino a 2 stop in terzi di stop; insomma, non le manca nulla, e quei 4 secondi di posa lunga – ne avremmo preferiti di più, permettono di evitare calcoli e scatti a filo in condizioni di luce crepuscolare – a seconda naturalmente della sensibilità della pellicola -: basta attivare l’autoscatto per lavorare senza problemi in luce attenuata. Il tutto naturalmente anche in priorità di diaframmi che torna certo utile in condizioni di ripresa quando si ha fretta e non c’è il tempo, dopo aver focheggiato e scelto il diaframma di lavoro, di scegliere anche il tempo di scatto.

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10 fm3a articolo attacco ai della Nikon FM3A1080
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La vera forza delle Mamiya 7: le ottiche

La mancanza del box specchio ha permesso agli ingegneri di Mamiya di realizzare ottiche simmetriche, a parte il 43mm, ciascuna di straordinaria qualità, è questa, in sintesi, la vera forza delle Mamiya 7, poter contare su ottiche appositamente progettate – non esistono ottiche “ universali”- ciascuna praticamente esente da qualunque tipo di aberrazione. Le foto a seguire danno solo una pallida idea della qualità delle ottiche, qui abbiamo usato solo il 43 e il 65mm, ma tutte le ottiche che Mamiya ha progettato per la serie 7 sono a dir poco superlative. Non è stato possibile recuperare il numero di lamelle del diaframma di ciascuna ottica, un numero elevato di lamelle porta a un miglior effetto bokeh, il 65mm, per esempio, monta 5 lamelle eppure a mio parere l’effetto bokeh è eccellente. Qui non sono state elencate due delle prime ottiche, il 50mm e il 210mm. Nel manuale di istruzioni della Mamiya 7II si fa riferimento al 43, al 65 al 80 e al 150mm. Gli attacchi filettati sono fortunatamente ridotti al 58 e al 67mm per poter utilizzare gli stessi filtri su più ottiche. La messa a fuoco manuale scende sotto al metro di distanza minima solo con il 43mm; per le altre ottiche ci si deve accontentare di un metro e nel 150mm anche più.

Pur non disponendo di strumentazione per testare scientificamente le ottiche io ho sempre ottenuto negativi di qualità sublimi da Mamiya. Scattai il primo rullo nel 2000 e l’ultimo scatto era l’ingresso molto affascinante di quello che si oggi si chiama Bioparco – siamo a Roma. A pellicola sviluppata mi accorsi che in mezzo a un bel cielo terso sgombro di nuvole faceva bella mostra di sè un piccolo sgorbio. Pensai a un problema nell’emulsione della pellicola. Lo sgorbio, ingrandito, si rivelò essere un aereo appena decollato – non più lungo di un millimetro sul negativo, del quale riuscii anche a leggere la livrea e la compagnia di bandiera…. Per ottenere tutto questo, torniamo daccapo, treppiedi, scatto a filo, una negativa eccellente, quando necessario un filtro – io parlo di bianco e nero – e tassativamente l’ottica perfettamente in ombra, cosa non sempre fattibile usando i paraluce originali a corredo

Lo scatto a vuoto, niente paura…

Vi ho già accennato che avere sempre con sè il manuale di istruzioni – o il pdf – della macchina in uso non guasta. Per la Mamiya 7 e 7II diventa imprescindibile, perchè ci sono alcune funzioni che è impossibile mandare a memoria e alcuni accorgimenti.

A cominciare dal tappo di protezione frontale dell’obiettivo: poichè l’esposimetro è annegato in una finestrella esterna e l’inquadratura è galileiana, potete tranquillamente portarvi a casa dieci splendidi scatti della parte posteriore del vostro tappo senza accorgervene.

Ma quello che è più complesso e delicato e si differenza tra la Mamiya 7 e la 7II è lo scatto a vuoto. Le istruzioni sono posizionate all’inizio e sono davvero complesse. Perchè la Mamiya 7 scatti a vuoto bisogna che la tendina interna sia aperta, che l’otturatore sia carico e soprattutto che il dorso sia semiaperto, manovra decisamente delicata che si raccomanda di eseguire prima di aver caricato la pellicola, per controllare la bontà del funzionamento della macchina. Con la 7II le cose sono decisamente semplificate: oltre ad aver armato l’otturatore e aver controllato che la tendina interna sia aperta, basta spostare su ON il meccanismo per le doppie esposizioni: la macchina scatterà senza dover tenere il dorso semiaperto. Ma la cosa ancora più importante da avere SEMPRE con sè, credetemi, è la batteria di scorta. Se è possibile controllarne lo stato di carica sia impostando il tempo d scatto di 1/15 di secondo che facendo partire l’autoscatto e controllando che arrivi a fine corsa facendo scattare l’otturatore – e così che scoprirete se la vostra batteria è mezza scarica, non traguardando i tempi – se la batteria smette comunque di funzionare non potete più scattare perchè la macchina non dispone di un tempo meccanico. Uomo avvisato, mezzo…. elettrificato.

Sul campo

Per il mio modo di fotografare, lavorare con Mamiya 7II sul campo è molto faticoso: treppiedi, livella  a bolla, scatto a filo, uno studio abbastanza maniacale dell’esposizione, la scelta inequivocabile tra landscape e portrait, la messa a fuoco a telemetro non sempre agevole, l’inquadratura approssimativa nel mirino galileiano  e poi i controlli finali, sulla messa a fuoco, sul diaframma impiegato, sul tempo di posa scelto. Difficile in una mattinata scattare più di dieci fotogrammi, si mette già in conto che, se il luogo è vicino, sarà d’obbligo tornare almeno una seconda volta. Poi c’è lo sviluppo e successive fasi, il lavaggio e finalmente un primo sguardo al negativo, a questi dieci fazzoletti di realtà dove se tutto è andato come doveva, si potranno ottenere stampe fiabesche. Molti dicono che la fotografia sia un hobby, io lo ritengo un sacrificio, con meritate soddisfazioni.

Stalattiti di ghiaccio.

Un primo scatto, realizzato prima con il 43mm e poi con il 65mm e al termine un ulteriore dettaglio dello scatto realizzato con il 65mm. La qualità è eccellente con entrambe le ottiche, il dettaglio dello scatto realizzato co il 65mm fa notare una perfetta focheggiatura sulle stalattiti e, e nonostante il diaframma  a f/11, un progressivo ammorbidimento dello sfondo.

Ecco l’immagine originale, scattata con il 65mm che può essere ingrandita a piacere

E lo scatto realizzato dallo stesso punto con la Mamiya 7 e il 43mm

 

 

 

Differenza di focale

E’ chiaro che tra un 43mm, che equivale a un 21mm e un 65mm, che equivale a un 32mm, l’angolo di campo non è neppure confrontabile. Io però preferisco il 65mm, così da poter cercare l’inquadratura corretta, senza prendere il tutto e in modo anche di avere i soggetti più ingranditi. In alto lo scatto realizzato con il 43mm, in basso con il 65mm.

Lo scatto originale realizzato con la Mamiya 7 e il 43mm

E lo scatto originale realizzato con la Mamiya /II e il 65mm. Come per l’immagine precedente, anche questa può essere ingrandita alla risoluzione originale cliccadoci sopra.

 

 

Situazione a rischio

Per scattare questa immagine volevo mettermi all’altezza delle stalattiti, mi sono quindi arrampicato su quella collinetta completamente coperta di ghiaccio, scivolosa sia per me che per i vari tentativi di stazionare il treppiedi, ma alla fine ci sono riuscito.

Qui di seguito il file originale:

Mamiya 7II , 65mm, scatto originale

 

 

Uomo o natura?

E’ difficile capire, guardando la fuga di gradini in alto a sinistra, se si siamo formati naturalmente 23 milioni di anni fa o siano stati realizzati dall’uomo. Una cosa è certa, l’impressione, proveniendo dalla luce, dal sole, di scendere nell’Abisso qui è di una evidenza drammatica.

Mamiya 7II, 65mm diaframmato a f/11, 30 secondi di posa, dettaglio della prima immagine alla risoluzione nativa

 

 

Orizzontale o verticale?

A differenza del formato 6×6 che nasce per essere tagliato in stampa, il formato 6×7 sarebbe già in proporzione per essere stampato a pieno fotogramma. Sorge quindi il dubbio, in fase di ripresa, se scattare in orizzontale o verticale. Qui abbiamo due esempi dello stesso soggetto scattato in orizzontale e in verticale, uno con il 43, l’altro con il 65mm: l’impatto è completamente diverso. Non c’è uno scatto migliore o una scatto peggiore, ma due scatti completamente diversi, della qual cosa va tenuto conto in fase di ripresa. Certo, è anche possibile fare due scatti, uno in orizzontale e uno in verticale, ma scegliere l’inquadratura in previsualizzazione è fondamentale, senza dimenticare che l’autonomia di scatto è ridotta a soli 10 fotogrammi per rullo. Più che una questione di costo è una questione di ritrovarsi poi, a fine riprese, a dover sviluppare più rulli del previsto.

Lo scatto in verticale utilizzando la Mamiya 7 e il 43mm

Un po’ più a destra, un pò più a sinistra

Scoprirete tra poco che io in realtà di Mamiya ne avevo in dotazione solo una, la 7II con il 65mm. E’ un’accoppiata che non mi è mai dispiaciuta; da quando ho avuto a che fare con questa macchina nel 2000, ho sempre privilegiato il 65mm. Il 43 per i miei gusti ha un angolo di campo troppo elevato, l’80mm comincia a essere un filo stretto. E così, con ancora due scatti in macchina, mi sono trovato in questa serie di grotte, ciascuna con il suo placido invaso d’acqua e separate da quel particolarissimo arco. Ho innanzitutto scattato spostandomi a destra, per non capitozzare nessuna parte dell’arco – il mirino galileiano, in parte occluso dal paraluce, non dà garanzie di consapevole inquadratura. Poi, con l’ultimo scatto, e con il subbio dell’esposizione, ovvero se bruciare il muro di fronte a vantaggio del secondo invaso d’acqua  o viceversa, ho privilegiato un’esposizione più lunga, potendo leggere il secondo invaso d’acqua, ma senza bruciare oltremodo la parete. Qual’è la foto migliore? Me lo sto ancora chiedendo. Quello di cui invece son sicuro è che il semplice spostamento di pochi passi rispetto al soggetto prinicipale, mantenendo invariata l’ottica, può indubbiamente portare a uno scatto migliore o peggiore. Per quanto riguarda questi due scatti… non mi sono ancora deciso!

Il primo scatto, mi sono posizionato a destra per essere sicuro di prendere il varco che separava le due grotte.

Nel secondo scatto m sono spostato a sinistra, controllando nel mirino di non tagliare la parte destra del varco. I due invasi sono più evidenti e anche il varco, riquadrato dallo scuro dell’invaso, spicca di più

Esposimetro incorporato, ma…

Sia la Mamiya 7 che la  Mamiya 7II incorporano un esposimetro La fotocamera utilizza un fotodiodo al silicio di precisione (SPD). E’sistema di esposizione a priorità di apertura con un’accurata esposizione ponderata al centro. Il diagramma mostra il modello di misurazione per un obiettivo 80 mm f/4.contrassegnato dai riferimenti in blu nell’ideogramma del mirino.

Il passaggio a un obiettivo grandangolare cambia automaticamente il sistema in misurazione spot, mentre un teleobiettivo avvia un sistema di media che prende anche in considerazione la luce circostante. In modalità A o AEL, la priorità va all’esposizione più accurat per l’obiettivo in uso. Il risultato è il massimo ottenibile da un esposimetro a luce riflessa non TTL.

Se si ha esperienza, lavorando in A o in AEL è possibile starare l’esposizione con l’apposita leva da -2 a +2 stop, ma ci vuole molta, molta esperienza. A questo si aggiunge il fatto che non si possono fare così tanti bracketing, visto che gli scatti a disposizione sono dieci – a meno di non sacrificare più pellicola. Per di più la sensibilità dell’esposimetro va da 3EV a + 18EV: in situazioni crepuscolari, ovvero ogni volta che a tutta apertura è necessario un tempo di posa di 4 secondi, l’esposimetro non è più in grado di effettuare misurazioni. Per questo motivo e per il fatto che è molto importante anche una valutazione in luce incidente, io suggerisco di avere sempre con sè un buon esposimetro esterno.

L’esposimetro di confronto

Posto che poter misurare la luce in modalità anche incidente è fondamentale, io da anni mi avvalgo di un Sekonic L-308X Flashmate. Oltre a misurare la luce in modalità riflessa con un angolo di 40°, è in grado di misurarla anche in luce incidente, decidendo se utilizzare la lumisfera a corredo, che cattura la luce a 180 gradi o la lumisfera opzionale, che cattura la luce a 90 gradi. L’alimentazione è fornita da una comune batteria stilo AA, con buona pace degli esposimetri usati che hanno la necessità di usare batterie fuori produzioni e la conseguente necessità di reperire riduttori di tensione e ricalibrazioni del prodotto. Il Sekonic 308x può misurare sia in priorità di diaframmi, che di tempi, che EV, oltre che a poter misurare la luce flash, sia in modalità cordless che collegato al flash a mezzo cavo. E ancora, frame rate, angolo di otturazione e Lux/fc.. Sotto una certa soglia di luce il display si illumina.

La gamma i misurazione a 100 ISO va da 0 fino a 18EV, permettendo misurazioni fino a ben 60 secondi, sui quali poter calcolare l’effetto di non reciprocità delle pellicole. Lo ritengo un accessorio indispensabile, non solo in accoppiata con la Mamiya, ma con qualsiasi fotocamera al mondo.

Per chi volesse spingersi oltre, c’è il Sekonic L 858D Speedmaster: racchiude il top della tecnologia Sekonic, a un prezzo naturalmente differente. La lumisfera può essere retratta a piacere, ma soprattutto la misurazione in luce riflessa, che nel 308 arriva a 40° qui arriva a solo 1°! Bisogna saperlo usare, naturalmente.

Trovate QUI le istruzioni in italiano del Sekonic L 308X

La pellicola, e il rivelatore, sono “quasi” tutto

Per questo lavoro ho usato la pellicola Rollei Superpan 200. La Rollei Superpan è la fiGLIA legittima della pellicola Agfa Aviphot: 200 ISO, quindi una sensibilità media, fino a 180lp/mm, base PET – più trasparente, asciuga in metà tempo rispetto alle pellicola su base triacetato e si spinge fino ai 750nm che significa, usando un filtro rosso, un abbattimento quasi totale del pulviscolo atmosferico, uno scurimento dei cieli sereni e un prinicipio di effetto Wood nella vegetazione caduca, si avvicina quindi alla Rollei Infraed. Di fatto, quando uscì, sostituì la mitica Agfa Scala 200. Qui di seguito trovate i datasheet della Rollei Superpan 200 e della Agfa Aviphot 200.

Trovate altri dati QUI

 

Come sviluppo ho usato il canonico Bellini Hydrofen: prebagno di 1 minuto in acqua del rubinetto a 20°C a seguire, alla diluizione 1+31, 13 minuti di sviluppo, il primo minuto rovesciamenti continui, poi un rovesciamento ogni 30 secondi.

trovate maggiori istruzioni sul Bellini Hydrofen QUI,  QUI  e QUI

Il Bellini Hydrofen è disponibile sia nella confezione da 100ml che, più conveniente, da 250ml

L’accoppiata, come di consueto, si è dimostrata decisamente vincente.

Conclusioni

Se non si era ancora capito, apprezzo moltissimo la Mamiya 7 e il 65mm. L’approccio allo scatto è talmente certosino che dieci scatti non sono affatto insufficienti e, alla bisogna, si cambia rullo. Si paga la leggerezza e le misure relativamente ridotte della mancanza delle specchio con una visione galileiana approssimativa e un esposimetro non TTL. Ma vi confesso che io non tengo quasi mai conto dell’esposimetro incorporato, appoggiandomi al Sekonic Flashmate L-308X che uso prettamente in luce incidente con lumisfera a 90 gradi. La gamma tonale della pellicola Rollei Superpan 200 e la sua capacità di incassare sovraesposizioni non mi ha costretto ad alcun bracketing: i negativi sono risultati tutti correttamente esposti, qualcuno leggermente sovraesposto, ma dovete tener presente che in molte situazioni l’esposimetro segnava 30 o 50 secondi di posa che andavano poi raddoppiati o triplicati per l’effetto di non reciprocità. In queste situazioni si può rischiare a volte delle sovraesposizioni, leggere, mai delle sottoesposizioni.

Lo shooting si è svolto in due differenti sessioni, durate ciascuna quasi una giornata e alla fine ho portato a casa due rulli impressionati con il 65mm e un rullo impressionato con il 43mm. Q.B.

Vi anticipavo all’inizio che la macchina, che era già costosa quando era in produzione, oggi ha prezzi addirittura superiori nel mercato dell’usato. Il mio suggerimento, quando possibile, prima di accingersi all’acquisto è provarla. Di fatto ha le stesse peculiarità e limiti di una Leica M, mirino galileiano e telemetro – Leica M, soprattutto M6, ha però un esposimetro TTL che non sbaglia mai un colpo.

Mamiya7 o 7II ? Vi ho spiegato le differenze. per valutare la vera differenza nel contrasto del telemetro e delle cornicette tra la 7 e la 7II dovete per forza provarle, se trovate due macchine differenti ma con in prezzo simile.

Con tutto il rispetto per chi lavora in medio formato a mano libera, per me Mamiya, e tutto il medio formato, vive su treppiedi e con scatto a filo, con tutti i limiti del caso, ma che a m non creano gradi problemi, visto che mi occupo raramente di ritratto e di fotografia istantanea.

E’ un fatto, e lo sancisce anche il mercato, che Mamiya 7 ha rappresentato una svolta epocale nella storia delle fotocamere medio formato, tenendo presente che Mamiya stessa ha realizzato medio formato reflex, con varie dimensioni del fotogramma e tutti i vantaggi del sistema reflex.

Buona luce – e buona oscurità ( nella darkroom.. )

Gerardo Bonomo

Alla prossima, quindi, e vi ringrazio per il vostro tempo e la vostra attenzione

Il vostro affezionatissimo, iridescente, senescente, e soprattutto, monopolicromatico, Gerardo Bonomo

 

I miei video e i miei articoli sono accessibile a tutti e gratuitamente.

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( vi ricordo i miei corsi sulla fotografia bianco e nero, dalla ripresa alla stampa, sia one to one che via Skype. Contattatemi: gerardobonomo@gmail.com, Cell.: 3356619215 )

Un GRAZIE a mia figlia Alessandra per questo scatto

Ringraziamenti

I miei ringraziamenti vanno al fraterno amico Franco, che nonostante abbia meno della metà dei miei anni è valente liutaio, violinista, letterato, fotografo e per di più eclettico. Ma soprattutto mi ha concesso la sua splendida amicizia, nonostante io potrei essere suo nonno….

Devo a lui una delle sortite in grotta e alla sua Mamiya7 armata del 43mm.

Devo a lui tutti i video che corroborano l’articolo: se io avevo il mio bel daffare davanti all’obiettivo, lui non ne aveva meno dietro la macchina da presa

Devo probabilmente a lui se una stalattite di ghiaccio mi ha solo sfiorato anzichè infilzarmi come una vittima di Vlad. Ne approfitto per ricordarvi che passeggiar per grotte e orridi è una cosa da fare possibilmente in due. E che sono infide in ogni stagione. E se il sito necessita di una guida speleologica e attrezzatura e abbigliamento consono, non azzardatevi a sopravvalutarvi….

Ringrazio infine mia figlia Alessandra per l’ultimo scatto.

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